L’autore di “Bebelplatz” si interroga su quali siano i nemici della letteratura: dal primo ministro cinese Li Si a Savonarola per arrivare ai russi che bruciano i manuali di storia e cultura ucraina. E ricorda cosa fece Goebbels: “Non siamo tanto diversi da un secolo fa”
La mattina dell’intervista a Fabio Stassi, sul giornale compare una notizia in cui si parla di circa cinquemila treni soppressi dall’inizio dell’anno sulla tratta che tutte le sante mattine porta lo scrittore da Viterbo a Roma per lavorare in biblioteca. E’ risaputo che proprio sul treno componga i suoi libri, ma non è frustrante far dipendere la propria produzione creativa dalle bizze del sistema ferroviario? “Quando ho cominciato i treni erano regolarmente in ritardo, oggi sono caoticamente imprevedibili”, dice. “Durante il Covid ho scoperto che si poteva scrivere anche a casa. Ma in una stanza che somigliasse pur sempre a uno scompartimento”.
Siamo nel suo ufficio alla Biblioteca di Studi Orientali, l’altra casa per lui e per 150 mila volumi in 168 lingue diverse fra estinte e vive, un luogo di cui va giustamente orgoglioso. Stassi è appena tornato da un tour in Germania e Svizzera per ritirare il premio Hermann Kesten, l’ultimo di una lunga serie (a elencarli faremmo notte, ma molti portano il nome di uno scrittore e ci sarà pure un motivo: lo Scerbanenco, lo Sciascia, l’Arpino, il Vittorini). Questo riconoscimento in particolare è assegnato dalla sezione tedesca del Pen “per la difesa della libertà di parola” e Fabio Stassi è il primo autore italiano a vincerlo, anche grazie al suo Bebelplatz (Sellerio), un libro il cui titolo fa riferimento alla piazza di Berlino in cui il 10 maggio 1933 vennero dati alle fiamme migliaia di libri considerati nocivi dal regime. La scena l’avrete ben presente, è persino immortalata in Indiana Jones e l’ultima crociata. Ecco, questo strano oggetto narrativo (Stassi lo chiama con pudore quasi un “romanzo”) si prende la briga di partire da quei roghi e dalla generale tendenza dell’umanità alla bibliocastia per interrogarsi su quali siano i nemici della letteratura (“sempre gli stessi”, per citare Tabucchi) e quali fossero i libri di autori italiani ridotti in cenere in quelle notti di Valpurga. Le molte piazze delle Bücherverbrennungen, però, non si sarebbero accese a festa senza il tradimento dei chierici, come il bibliotecario nazista Hermann, l’uomo che stilerà le liste di proscrizione col fiammifero in mano.
Come se lo spiega un bibliotecario come Stassi quel collega piromane che dà fuoco ai libri? “L’ha detto bene Manganelli in una conferenza: la letteratura sta dalla parte della morte, della follia, della patologia. Amleto e Don Chisciotte, con cui inizia la storia moderna della letteratura, sono due lettori ed è coerente che impazziscano. Però poi ci sono pure loro – altri lettori, bibliotecari, politici – i normalizzatori, quelli che vogliono mondare, disinfettare. Insomma, bruciare il virus e contenere l’infezione che i libri portano”. La storia ne è piena: da Li Si, il primo ministro che azzerò la millenaria cultura cinese, al falò delle vanità di Savonarola, per arrivare ai giorni nostri fra preti polacchi che allestiscono pire di libri di Harry Potter e soldati russi che requisiscono e danno alle fiamme i libri di storia e cultura ucraini. “E’ l’isteria della purezza. Purezza è una parola sporca, a cui possiamo far risalire i peggiori crimini dell’umanità. La letteratura è impura, anarchica, eversiva. Una forma di devianza. Non c’è da stupirsi che come prima cosa i nazisti attacchino e vandalizzino la biblioteca dell’Istituto di Sessuologia. La loro era un’aggressione alla diversità e alla cultura”. Infatti Goebbels metteva mano alla rivoltella non appena sentiva questa parola, ma quali erano i bersagli?
“Io mi aspettavo di trovare nella lista dei libri bruciati i grandi autori della storia letteraria italiana, e invece quelli che ho trovato sono nomi sorprendenti. La libertà è il primo valore da colpire per i totalitarismi, ieri come oggi, e per questo figura in quell’elenco Pietro Aretino, portavoce del Rinascimento, ma anche l’antimperialismo garibaldino di un Salgari, il pacifismo internazionalista e utopista di Giuseppe Antonio Borgese, il coraggio di un antifascismo radicale anche contro Stalin come quello di Silone e infine Maria Assunta Giulia Volpi, punita per avere sovvertito tutti i ruoli e gli stereotipi del femminile, come madre donna e amante”. Questi cinque nomi hanno biografie diversissime ma finiscono tutti nel canone dell’infamia compilato dai nazisti. Oggi però ci sono ancora quelli che, come Goebbels in quella notte infuocata, invocano l’uomo di carattere anziché l’uomo fatto di libri? “Io sento risuonare le stesse parole d’ordine a condanna della devianza. Non siamo tanto diversi da un secolo fa. Hanno censurato Piccolo blu e piccolo giallo di Leo Lionni a Venezia perché, in fondo, è un libro contro il razzismo. Ma per ogni Hermann c’è sempre una Jella Lepman che ricostruì le biblioteche di Berlino dopo la guerra. Chiese a tutti i capi di stato di inviare dei libri e il re del Belgio si rifiutò: non mando libri a chi ci ha invaso due volte, disse. Lei gli rispose così: se non volete essere invasi la terza volta, forse è il caso che ce li mandiate questi benedetti libri”.