Spegnerla o lasciarla ardente nel simbolo di Fratelli d’Italia? Impazza il dibattito. Molte le soluzioni, ma senza un vero problema
Impazza a destra il dibattito sulla fiamma: quella tricolore. Spegnerla o lasciarla ardente nel simbolo di Fratelli d’Italia? Secondo il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, si potrebbe anche togliere. Secondo Ignazio La Russa e Fabio Rampelli guai a chi la tocca. A spiazzare è che questo dibattito si tenga a destra: di solito accapigliarsi sul nulla è prerogativa della sinistra. Lì saprebbero come risolverla: si farebbe un congresso, che sfocerebbe al massimo in delle primarie nei gazebo o in un voto online; e ci sarebbe un Fabio Mussi (Rampelli? Nomen omen) che uscirebbe dal partito “non con animo leggero” (cit.).
A destra invece non c’è la cultura del dibattito interno che sfocia nello psicodramma, nei girotondi, nelle scissioni nucleari degli atomi della sinistra in mille rivoli movimentisti; di solito a destra quando uno si distingue, obietta, mette in discussione, lo si aspetta sotto casa in sette-otto e dal giorno dopo non lo si rivede più – salvo uno non si metta a dragare bene il fondo del fiume. Non si capisce perché anche stavolta non la risolvano nello stesso modo (forse che Ciriani ha fatto un corso di autodifesa? Anche fosse, e chi è, Bruce Lee?); se la destra non è più disposta a menar le mani, a organizzarsi in squadracce e giù botte da orbi, allora in effetti c’è poco da discutere, ha ragione Ciriani, via quella fiamma dal simbolo, non significa più nulla. Ma visto lo sconcerto, lo smarrimento, l’irritabilità, meglio cercare una soluzione più “democristiana” che non scontenti nessuno e risolva la questione con abile gattopardismo: se la fiamma non si può tenere e tantomeno togliere, allora bisogna più semplicemente spostarla. La domanda dunque è un’altra: dove la mettiamo, ’sta fiamma tricolore?
Le soluzioni, volendo, ci sarebbero. Per esempio propongo, visto che la mamma delle sorelle Meloni vende candele artigianali al mercato di Sora (tutto vero), di brandizzare la bancarella con una bella fiamma tricolore, non più simbolo ma logo: funzionerebbe anche sui social, nel caso in cui la matriarca volesse vendere online le sue creazioni fatte di stoppini e cera. Abbiamo anche lo slogan: “Con i ceri Meloni, la fiamma non si spegne”.
Oppure, sempre per restare in famiglia, potrebbe usarla l’ex cognato Lollobrigida in una bella campagna del ministero dell’Agricoltura per il ritorno dell’italica brace contro l’americano barbecue: caldarroste dop, verdure grigliate dei nostri agricoltori, carne italiana cotta alla brace, il tutto abbrustolito su fiamma tricolore. Anche qui mi immagino il video per i social, con il ministro in tenuta da “sbraciolata” domenicale (maglietta e pantaloncini madidi e anneriti) che decanta la qualità e la centralità della brace italiana e della cottura a fuoco vivo il tutto controvento, scatenando un incendio – ma tricolore, quindi “me ne frego” se si carbonizza una pineta.
Oppure si potrebbe dare la celebre fiamma all’amico geniale Elon Musk: vuoi che il vulcanico tossicodipendente non si faccia venire un’idea di re-branding? O all’altro amico meno geniale, cioè Giuseppe Conte, dato che potrebbe aver bisogno di un nuovo simbolo a breve. Intanto che si decide, si potrebbe approfittare del Natale, e spostare la fiamma in cima a un albero al posto del puntale, o nel presepe – ma lontano dalla mangiatoia, sennò con tutta quella paglia il Bambinello prende fuoco. Insomma, le soluzioni ci sarebbero. E’ che forse manca il problema?