S’è spezzato il rapporto di fiducia tra la società e i media, e ognuno mette insieme i cocci a suo modo. Orientarsi in un mondo frammentato, tra social e “giornaloni”. Le tesi di due star americane: Mike Allen e Jim VandeHei. E un futuro tutto da discutere
Il dibattito sul ruolo dei media e sulla loro trasformazione si è molto ampliato dopo le elezioni americane: si è discusso del mancato endorsement del Washington Post deciso dall’editore, Jeff Bezos, che ha denunciato la mancanza di credibilità del giornalismo tradizionale; s’è discusso del ruolo di Elon Musk, l’uomo più ricco del pianeta che lavora con Donald Trump e che ha utilizzato il social di cui è proprietario, X (ex Twitter) come cassa di risonanza della campagna elettorale trumpiana; s’è discusso del declino dei cosiddetti media tradizionali e dell’emergere di prodotti editoriali molto popolari che non hanno alcun dovere di veridicità; s’è discusso del cosiddetto “attivismo” dei giornalisti, delineato dal commentatore e scrittore Yascha Mounk, che ha condizionato l’informazione politica in modi quasi perversi. E’ un tema enorme che riguarda i media ma soprattutto i lettori, e quindi la società tutta. Qui pubblichiamo i discorsi di due star del giornalismo politico americano, Mike Allen e Jim VandeHei, fondatori del sito Axios, che hanno tenuto al National Press Club il 21 novembre scorso, e che sono stati molto ripresi e commentati, anche dallo stesso Musk.
Mike Allen. Anni fa, nella redazione del Richmond Times Dispatch, avevo scritto il mio articolo e mi ero messo a parlare con un altro reporter, Mark Smith. Chi di voi ha lavorato nei giornali locali sa che in una redazione televisiva o giornalistica della vecchia scuola, le storie più importanti sono: quando arriva la neve, anche solo un paio di centimetri, e la gente corre a comprare il latte e la carta igienica, e quando il premio della lotteria diventa grande. Quel giorno in particolare, il premio stava per diventare da record, e Mark e io ci siamo chiesti: smetteremmo di lavorare se vincessimo la lotteria? Tom Campbell, un cronista giudiziario, era seduto in fondo alla stanza, non ci eravamo nemmeno accorti che stesse ascoltando, stava digitando sul suo computer, ma ha alzato lo sguardo e ha detto: “Se vincessi la lotteria, lavorerei ancora qui, ma prenderei molta meno merda”. Poi si è rimesso a scrivere. Questo è giornalismo, giusto? E’ un lavoro importante e difficile, ma lo facciamo perché lo amiamo. Sentiamo una vocazione, ci sono pochi lavori come questo e ci sentiamo privilegiati a poterlo fare. Stiamo vivendo un test della nostra professione, vale per noi e per molti che si sentono personalmente attaccati e minacciati. Non c’è mai stato, credo, un momento tanto importante per un giornalismo lucido e coraggioso e per una ricerca incessante della verità. Grazie al National Press Club per questo Fourth Estate Award e per il sostegno al Journalism Institute, che prepara la prossima generazione di giornalisti a informare il pubblico attraverso la nostra preziosa stampa libera. Sostenete il giornalismo, sostenete la democrazia. (…) Jim VandeHei e io siamo molto grati per l’opportunità di fermarci a ringraziare le tante persone che contribuiscono ad alimentare la nostra passione di raccontare agli altri le cose che contano.
Per me, uno di questi è stato Hampden Smith, un leggendario professore di giornalismo dell’Università di Washington, che quando consegnavi un testo universitario un po’ contorto, non ti dava un brutto voto ma lo rimandava indietro scrivendo sopra: “Nuts”. Ringrazio anche il mio caro amico e cofondatore Roy Schwartz, senza il quale Axios non esisterebbe. Vedete, Axios ha cominciato con una premessa radicale: che cosa succederebbe se costruissimo un’organizzazione giornalistica su ciò che vuole il lettore invece che su ciò che vogliono i giornalisti o gli editori? Molti altri media si chiedono: come possiamo tenervi sul nostro sito? Come possiamo farvi stare sul nostro sito quando non avete tempo? Noi abbiamo detto di no a queste domande. Ciò che serve al pubblico è sapere cosa c’è di nuovo e perché è importante: la brevità è fiducia, la lunghezza è paura. Ridevamo e ci fissavamo su ogni dettaglio, ma questa era la parte più facile. Come si fa a fare soldi? Come si rende sostenibile il giornalismo a misura di lettore? Roy ha decifrato il codice, attenendosi sempre alla nostra stella polare di elegante semplicità, e questa è la magia della collaborazione con Roy. Jim e io siamo una ricetta per il successo nella vita e nel lavoro, perché senza uno di noi non esisterebbe Axios, ed è una gran cosa. E il monito per tutti noi, l’insegnamento per la vita è conoscere il proprio superpotere, conoscere il proprio punto cieco e poi trovare collaboratori che ti rendano una versione migliore di te stesso, che è quello che Roy e Jim fanno per me. Quando parliamo del giornalismo di Axios, parliamo di fiducia ed efficienza – è un modo per rispettare l’intelligenza dei lettori. Axios non ha mai cercato di essere il New York Times, siamo sempre stati noi stessi. Come possiamo rendere i professionisti intelligenti più intelligenti e più veloci su quel che conta? E quando si tratta di essere se stessi, non c’è modello più grande, nessuno che ammiri di più di Jim VandeHei. Siamo frenati da ciò che gli altri pensano di noi, ma a Jim onestamente non importa nulla, e questo gli ha permesso di essere il cervello, la forza e l’anima di due grandi startup. A Jim piace dire: “E’ impossibile offendermi”. Dietro le quinte, non è del tutto vero, ma è più vero che con chiunque altro abbia mai conosciuto. La gente scherza sul fatto che tra il genio di Jim e la mia empatia, siamo una persona sola. Ma abbiamo imparato l’uno dall’altro, consigli e trucchi di vita e di leadership, ferro che affila il ferro. Grazie a Jim sono un giornalista, un leader e un uomo migliore. Ora i giornalisti americani si trovano ad affrontare una strada incerta e la nostra vocazione non è mai stata così urgente: la ricerca precisa e incessante della verità.
Jim VandeHei. Ho un migliaio di storie divertenti su Mike Allen, ma quando eravamo a Politico scherzavo sul fatto che volevamo iniziare un programma in cui lui tirava fuori una situazione qualsiasi e io dicevo perché era fottuto, mentre lui spiegava perché era la cosa migliore che mi fosse mai capitata – il che catturava l’essenza di noi due – e l’esempio che usavo sempre era: “Hai un cancro in fase terminale”. Io dicevo: “Ascolta, hai un cancro in fase terminale e morirai tra due settimane, è uno schifo”, mentre Mike diceva: “Congratulazioni, questa è la notizia migliore: potrai incontrare il Signore e sperimentare una vita eterna e beata, fantastico”.
Questo è Mike in estrema sintesi, e dirò che per quelli come noi che hanno lavorato a Politico, hanno lavorato ad Axios e hanno lavorato con Mike, è stato davvero come vincere alla lotteria nella vita, essere in grado di vivere, lavorare ed essere i migliori amici di un uomo così umile, così gentile, così laborioso è la cosa più bella. Ed è anche interessante il fatto che nessuno di noi due abbia mai vinto nulla da solo, come se fossimo bravi a metà, come se io avessi successo al 50 per cento, ma se ci mettete insieme allora sì, diventiamo piuttosto bravi. Ma la verità è che avreste dovuto dare questo premio a più di due persone. Roy dovrebbe essere premiato: non è un giornalista, ma io sostengo, e sono piuttosto schietto, che sia il più formidabile imprenditore dei media di Washington della nostra epoca, e che riuscire a creare un’impresa in grado di sostenere il lavoro che facciamo sia un’impresa quasi impossibile senza di lui, senza di lui non ci sarebbe Axios, non ci sarebbe Politico, quindi dovrebbe essere qui sul palco con noi. (…)
E se non ci fosse stata mia moglie, che non è qui stasera, ma se non ci avesse dato un calcio nel sedere 17 anni fa quando stavamo per rinunciare a Politico, non ci sarebbe stato Politico e non ci sarebbe stato Axios. E comunque quattro persone non bastano, perché non sarebbero niente tre ragazzi con un’idea e una mente imprenditoriale senza il pubblico e il numero di persone che hanno scommesso su di noi – spesso è stato così dannatamente umiliante. Ora potrebbe essere più facile, ma 17 anni fa, 18 anni fa, è stato difficile, davvero difficile. Abbiamo avuto la fortuna di trovare tante brave persone per lavorare con la famiglia Cox che è qui, Spencer, Sherita, Dallas. Questa famiglia crede nel giornalismo dalla fine del 1800. Come l’idea che non si fermino, che investano in questa azienda, che rimangano fedeli. Anche quando è difficile, ed è un’attività dannatamente difficile. Perché lo fanno? Perché vale la pena lottare. E’ una lotta, è una guerra, e il fatto che le persone si preoccupino di questa guerra, che si uniscano a te in questa guerra per la verità, per la libertà, è importante. Come il nostro settore. Non voglio indorare la pillola. E’ come se tutto ciò che facciamo fosse sotto tiro. Elon Musk va su Twitter ogni giorno, o su X come si chiama oggi, dicendo: “Noi siamo i media, voi che siete qui siete i media”. Il mio messaggio a Elon Musk è: stronzate. Tu non sei i media, avere una spunta blu, un account Twitter e 300 parole di spazio non fa di te un giornalista più di quanto il fatto che io ti guardi la testa e veda che hai un cervello e ti dica che hai una serie di strumenti fantastici faccia di me un dannato neurochirurgo.
Giusto, come quello che facciamo noi, quello che fanno i giornalisti. Ti dichiari un giornalista, come se fosse una sciocchezza, quando essere un giornalista è difficile, davvero difficile: devi preoccuparti di fare il lavoro duro, devi alzarti ogni singolo giorno e dire che vuoi arrivare alla più vicina approssimazione della verità senza alcuna paura, senza alcun favoritismo, e non lo fai con una spunta su Twitter, non lo fai avendo un’opinione, lo fai facendo il lavoro duro. Odio questo dannato dibattito sul fatto che non abbiamo bisogno dei media.
C’è qualcosa in questo nostro paese, c’è qualcosa nel diritto alla libertà, nel capitalismo, negli animal spirits della democrazia, ma al centro di tutto questo c’è forse la trasparenza, forse una stampa libera, forse la possibilità di fare il proprio lavoro senza preoccuparsi di andare in prigione, forse la possibilità di sedersi in una zona di guerra e dire alla gente cosa sta realmente accadendo, in modo che non si trovino di fronte a una distorsione. E il lavoro che facciamo è importante. Non credo che le persone che lavorano in un giornale locale oggi siano sedute lì a pensare: “Lo farò per il prestigio e l’enorme stipendio”. Non so quanto guadagniate voi, ma so che le organizzazioni no profit non pagano molto. Lo fai perché ti interessa, perché fa la differenza, e credo che sia questo il punto in cui dovremmo concludere la serata.
Ogni giorno siamo in lotta. Io e voi. Dobbiamo ricordarloai giovani giornalisti. Dobbiamo ricordarlo al popolo americano. Diamine, credo che dobbiamo ricordare a noi stessi che bisogna alzarsi ogni giorno e dire: come posso essere solo un po’ migliore? Come posso essere un po’ più coraggioso? Come posso scrivere in modo un po’ più nitido? Come posso raccontare un po’ più a fondo, in modo da informare le persone? Come posso fare la mia parte ogni giorno per far sì che le persone che sono diventate profondamente scettiche nei confronti del lavoro che tutti noi svolgiamo siano meno scettiche, e credano nel lavoro che facciamo? Come posso contribuire a capire come creare modelli di business per rendere il giornalismo redditizio? Questo è stato il bello del nostro viaggio: io amo il giornalismo. Che cosa faccio? Scrivo per divertimento, perché scrivo una rubrica mentre dirigo un’azienda, perché amo queste cose, e penso che questo sia davvero importante. Penso di sapere molto, e voglio poterlo dire alla gente, ma la cosa più bella è che in qualche modo siamo riusciti a capire come trasformare queste cose in business e no, non è una brutta parola. Dobbiamo tutti capirlo, perché se perdiamo questo – e non si tratta di noi, non voglio farvi la predica. Ma se il popolo americano ci stesse guardando in questo momento gli direi: vergognatevi se perdete questo, perché se perdete questo, se perdete la trasparenza, se perdete la verità, perderete l’intero dannato esperimento americano. E quindi quello che fate è importante, e in qualche modo, gli altri premiati sono molto più importanti di noi. State facendo cose molto difficili, che potrebbero costarvi la vita, il sostentamento o il vostro lavoro. Noi non dobbiamo necessariamente affrontare tutto questo. Non lo facciamo, e quindi a tutte le persone che lo fanno, grazie. A tutte le persone che ci leggono, che hanno lavorato per noi, che si sono fidate di noi e che hanno scommesso su di noi, grazie. E grazie per questa serata. Vi lascio andare a casa. Ciao a tutti. Grazie a tutti.