TikTok divide i trumpiani: nemico cinese in casa o social irrinunciabile?

Entro il 19 gennaio ByteDance dovrà cedere la quota cinese a un acquirente statunitense o il social sarà vietato negli Stati Uniti. Ora Trump è chiamato a decidere tra sicurezza e libertà

La data di scadenza è il prossimo 19 gennaio. Entro quel giorno, secondo una legge firmata da Joe Biden lo scorso aprile, ByteDance dovrà vendere TikTok a un acquirente statunitense, in caso contrario, l’app verrà vietata negli Stati Uniti. La storia è fatta così, apprezza i cicli e i ritorni. In questo caso, ecco Donald Trump, presidente eletto, che dovrà decidere se salvare o no TikTok, social network cinese al centro di mille sospetti e timori, specie tra i repubblicani, e che lo stesso Trump aveva provato a bandire, alla fine della sua prima presidenza. Cinque anni dopo, il rapporto tra Trump e settore tecnologico è radicalmente cambiato: Trump, innanzitutto, è (almeno tecnicamente) competitor di TikTok, visto che possiede un social network, Truth Social; quanto agli attacchi contro il social network cinese, hanno fatto breccia anche tra i democratici, spingendo alla citata legge bideniana; ma soprattutto, il consenso a destra su TikTok non è più così unanime. Apocalittici e integrati, per citare Umberto Eco: li ritroviamo anche tra le fila trumpiane, divise tra chi, fedele alla linea, continua a vedere TikTok come il nemico, una sofisticata psy-op cinese, anzi, una macchina per il lavaggio del cervello delle nuove leve a stelle e strisce; dall’altra, chi in questi anni ha imparato a usare il servizio, e ad apprezzarne il potere mediatico.

Per essere un cavallo di Troia nell’occidente, infatti, TikTok piace molto ai sovranisti e ai populisti, sia negli Stati Uniti (Trump stesso lo usa con successo, così come l’ex indipendente Robert F. Kennedy, Jr. e il vicepresidente eletto J. D. Vance), sia in Europa, come dimostra il recente successo di Calin Georgescu, candidato nazionalista e filorusso rumeno, e del francese Jordan Bardella, presidente del partito di estrema destra Rassemblement national.

Tra gli oppositori troviamo Steve Bannon, che in una recente intervista a Puck ha definito TikTok “un apparato distruttivo del Partito comunista cinese”, pur ammettendo che “il presidente Trump ha cambiato idea al riguardo”. La colpa della conversione del grande capo, secondo l’ex consigliere, sarebbe di “gente come Jeff Yass”, finanziere ed ex giocatore di poker professionista, 65enne, azionista di ByteDance (l’azienda proprietaria di TikTok) e tra i principali finanziatori dei comitati repubblicani, con più 46 milioni di dollari versati.

L’algoritmo di TikTok – un tempo potentissimo totem politico in funzione anti cinese – non fa più così paura, insomma. Kennedy, con più di tre milioni di follower, ha recentemente ammonito i suoi seguaci a non farsi abbindolare dall’eventuale bando del servizio, “che non riguarda la Cina che raccoglie i vostri dati, quello è solo un diversivo”. In tutto questo non poteva mancare la libertà d’espressione, citata da molti “integrati”, tra cui Elon Musk, capo di X ma contrario al divieto.

Sono tutte voci che provengono da ambiti non tradizionalmente conservatori – un ex democratico, alcuni ceo tecnologici. Se si guarda invece alla vecchia guardia del movimento Maga, invece, il parere contrario nei confronti di TikTok continua a essere maggioritario. Al suo centro, il controverso Project 2025, documento stilato dal think tank conservatore Heritage Foundation, che delinea le ambizioni per un nuovo mandato trumpiano. Il progetto, definito un modello autoritario da molti osservatori, non solo a sinistra, è stato più volte rinnegato da Trump durante la campagna elettorale. Oggi però alcune delle sue nomine più importanti, tra cui Brendan Carr, che vorrebbe a capo della Federal Trade Commission, vengono proprio da qui.

E’ tra le pagine di questo Project che sembra ancora di essere nel 2020: TikTok vi è descritto come “uno strumento di spionaggio cinese” che va “messo fuori legge”, e lo stesso Carr ha promesso più volte di “contenere” Big Tech, anche vietandola negli Stati Uniti. Pure John Ratcliffe, scelto da Trump per guidare la Cia, ha partecipato alla stesura del documento, ed è noto per aver descritto – nel 2022 – il social network cinese come “un pericolo per la sicurezza nazionale”.

Mentre il 19 gennaio si avvicina, la battaglia per TikTok rischia di diventare il primo terreno di scontro tra due anime politico-culturali in rotta di collisione nel Partito repubblicano: chi lotta per la sicurezza nazionale (specie in chiave anticinese) e chi negli ultimi anni ha fatto della “freedom of speech” il proprio principio fondamentale.

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