Il secondo posto in Serie A, il quinto in Champions League sono l’evidenza di un’altra grande stagione della squadra di Bergamo e di un manipolo di giocatori affidabile e di talento ma sottostimati dai più
Cambiare una partita che stava diventando fangosa togliendo, nel giro di nove minuti, prima Retegui, quindi Lookman e De Ketelaere. Gian Piero Gasperini, dalla tribuna dell’Olimpico, ha stravolto così la sfida contro la Roma, svuotando l’attacco per lasciare spazio agli inserimenti dei suoi incursori, rinunciando alle sue tre bocche da fuoco in un colpo solo. E ci ha lasciato, inevitabilmente, con una domanda: e se l’Atalanta avesse l’organico più profondo di tutta la Serie A? Parliamo di una squadra che sta tenendo il ritmo impressionante del Napoli dovendo però affrontare anche la Champions League, senza aver ancora avuto a disposizione il bomber principe della scorsa stagione (Scamacca, 19 gol tra campionato, Europa League e Coppa Italia) e con Scalvini che solo adesso si sta riaffacciando in gruppo dopo un grave infortunio.
È una domanda che porta con sé anche un sottotesto inevitabile: questo organico sarebbe di livello così alto anche in mano a un allenatore diverso da Gasperini? Probabilmente no, ma il grande merito della società nerazzurra non può e non deve passare sotto silenzio: l’Atalanta non si limita a incassare dalle ricche cessioni, ma investe. A volte sbaglia, più spesso indovina, riciclando talenti appassiti altrove: tutti hanno in testa il De Ketelaere spento dell’epoca milanista, in pochi ricordano il Lookman arruffone che si aggirava in Premier League prima di diventare un game changer agli ordini del Gasp. Perché le squadre non sono un ammasso di figurine, devono essere costruite pensando alle necessità e alle caratteristiche dell’allenatore: nessuno, in Italia, lo fa ai livelli dell’Atalanta, che non ha risentito nemmeno dell’addio di un dirigente illuminato come Sartori scegliendo D’Amico, uno che a Verona aveva fatto benissimo.
Nonostante questo, il clima che circonda l’organico della Dea è sempre all’insegna di una sottovalutazione che appare a dir poco sbadata: in pochi, per esempio, in estate avevano dato il giusto peso all’arrivo dal Bayer Leverkusen di un centrale difensivo come Kossounou, fatto dal sarto per il gioco di Gasperini (così come Hien, prelevato a gennaio nel silenzio generale). Eppure, tutto incluso, l’operazione Kossounou è una mossa da 30 milioni di euro. Ha avuto bisogno di un paio di mesi di apprendistato, oggi sembra imprescindibile. Lo stesso Brescianini, rimasto ai box per tutto ottobre per infortunio dopo un eccellente avvio, sta tornando ad avere un ruolo prezioso nelle rotazioni, dando respiro a quel Pasalic che rimane da anni uno dei punti fermi dell’organico nerazzurro insieme alla cerniera De Roon-Ederson.
A contraddistinguere l’operato della dirigenza atalantina durante l’estate è stata anche la reattività: il già citato Brescianini prelevato in un blitz fulmineo dopo il quasi-accordo con il Napoli; l’immediata virata su Retegui, affare chiuso in 48 ore in seguito all’infortunio di Scamacca; la prontezza che ha portato all’arrivo di Bellanova dopo i problemi nella trattativa che avrebbe dovuto portare Wesley in nerazzurro; l’intelligenza di premunirsi con l’acquisto di Samardzic prima di perfezionare la cessione di Koopmeiners. E iniziano a vedersi anche i primi frutti della scommessa Zaniolo, arrivato a rimpolpare un reparto offensivo già particolarmente affollato, e della mossa Cuadrado, sempre prezioso a partita in corso. L’Atalanta continuerà a nascondersi fin quando ne avrà modo, perché è nella sua natura. Ma sottovalutarne la profondità dell’organico, ormai, è diventato impossibile.