“Emerge la necessità di attuare stringenti misure per prevenire rischi per l’ordine e la sicurezza pubblica”, scrive in una circolare il capo della polizia. La lunga campagna del governo contro il turismo mordi e fuggi arriva a conclusione
In Italia non si potranno più identificare da remoto gli ospiti di una struttura ricettiva. I titolari, o chi per loro, saranno tenuti a identificare di persona gli ospiti, e non più solo con documenti inviati per via telematica. Quindi addio alle keybox o ai tastierini per inserire il codice, che si sono moltiplicati nelle città e nei paesi con l’emergere di piattaforme di affitto come AirBnb e simili. La giustificazione? La sicurezza. Spiega in una circolare il capo della polizia Vittorio Pisani alle prefetture: “Alla luce dell’intensificazione del fenomeno locazioni brevi, legate ai numerosi eventi politici, culturali e religiosi in programma nel paese, anche in vista del Giubileo a Roma a partire dal 24 dicembre, e tenuto conto dell’evoluzione della difficile situazione internazionale, emerge la necessità di attuare stringenti misure per prevenire rischi per l’ordine e la sicurezza pubblica in relazione all’eventuale alloggiamento di persone pericolose, legate ad organizzazioni criminali o terroristiche“. Qualcosa che sembra ancor più di attualità dopo che la Digos romana ha arrestato in un b&b di Ciampino un latitante curdo ricercato per terrorismo dai magistrati tedeschi.
Tra poco più di un mese, inoltre, i proprietari di immobili dati in affitto breve dovranno essere tutti in possesso di un Codice identificativo nazionale (Cin). Dal 3 settembre, con la pubblicazione del relativo avviso sulla Gazzetta ufficiale, è stata attivata la Banca dati delle strutture ricettive (Bdsr), la piattaforma sulla quale dovrà iscriversi chi vuole mettere in affitto la propria casa per brevi periodi, inserendo tutte le informazioni catastali e le certificazioni sugli impianti a norma. A oggi più di una struttura su tre risulta ancora non in possesso del Cin. Stando ai numeri pubblici sul sito del ministero del Turismo, le attività registrate alla banca dati nazionali sono 543.158 ma quelle che non hanno ancora richiesto o ottenuto il codice identificativo sono 194.378, ossia il 35,8 per cento. Entro trenta giorni dovranno adeguarsi, o rischiano multe fino a ottomila euro.
La decisione del governo era ampiamente annunciata. Da tempo la ministra del Turismo Daniela Santanché lanciava frecciatine alle keybox e inneggiava alla necessità di “garantire un’esperienza turistica serena e positiva, sia ai visitatori che agli operatori”. Voleva insomma cambiare le cose. A favore sono in molti, va detto. Da diversi sindaci di entrambi gli schieramenti sino ad appartenenti al mondo turistico delle città d’arte. Anche Airbnb si era detto a favore del contrasto “l’uso illegale delle keybox negli spazi pubblici”. Certo, c’è anche chi ritiene che contrastarne l’uso illegale sia un conto, contrastarne l’uso e basta un altro.
Anche perché la maggioranza aveva più volte dichiarato la volontà di “regolamentare il turismo senza disincentivarlo”, aveva parlato di “overtourism intollerabile”, aveva sottolineato il fatto “che il turismo è un bene per l’Italia, ma quello mordi e fuggi porta più svantaggi che vantaggi”. C’era chi aveva puntato il dito contro le strutture ricettive additandole come la causa principale dei caro affitti.
L’aumento delle strutture ricettive per affitti brevi ha in parte contribuito ad alzare gli affitti, ma non è l’unica causa, nè la causa principale. In Italia ci sono 9,6 milioni di seconde case non utilizzate, quelle inserite nel circuito degli affitti brevi 640 mila (il 25 per cento di queste gestite da aziende) ossia l’1,3 per cento delle abitazioni complessive a livello nazionale. Un numero elevato forse, ma che rende bene l’idea come attribuire a queste l’aumento degli affitti generali sia un po’ insensato.
Molto più interessante invece osservare i numeri relativi soltanto alla piattaforma Airbnb. Nel 2023, gli affitti brevi gestiti tramite il portale hanno generato 7,9 miliardi di euro in termini di valore di produzione e di 3,3 miliardi di euro di valore aggiunto. Un giro d’affari che in molti casi il settore alberghiero crede possa ritornare alle tradizionali strutture, ma che, almeno secondo un sondaggio fatto dall’Agenzia nazionale del turismo francese sarebbe perso per il 59 per cento, in quanto “qualora dovessero limitare o bloccare le strutture non alberghiere”, il 59 per cento degli intervistati non usufruirebbe comunque di strutture alberghiere tradizionali perché considerati “o troppo invadenti”, o “troppo care” o “troppo scomode per orario di check in e di check out”,