Le minoranze cristiane vedevano (e vedono tuttora) nel regime di Assad la garanzia della propria esistenza. Dodici anni fa l’intervento russo le salvò dal Califfato. Ora c’è prudenza e attesa, anche se finora “non è vero che i ribelli ci hanno proibito di celebrare il Natale o le feste natalizie”
La prudenza domina i comunicati diffusi dalle rappresentanze cristiane (ortodosse e cattoliche) ad Aleppo. Traspare la paura per il futuro ignoto ma si parla con cautela, in attesa di quel che potrà accadere. “C’è in alcune zone una certa calma, però anche sospetta. C’è molta paura, gli uffici governativi sono spariti, l’esercito pure non si vede, ci sono questi gruppi armati che girano e che hanno promesso di non toccare la popolazione civile. Finora sembra che hanno rispettato questo, ma la gente comunque ha paura, sta rinchiusa nelle case”, ha detto a Vatican News il nunzio a Damasco, il cardinale Mario Zenari.
C’è, implicita, una preoccupazione di natura politica, che espone le Chiese cristiane a possibili rappresaglie da parte delle milizie che hanno strappato Aleppo al pugno di Bashar el Assad. Dodici anni fa, infatti, quando le forze occidentali parevano sul punto di intraprendere un’operazione militare per rovesciare il regime, le Chiese fecero appello a ogni risorsa che potesse scongiurare l’attacco. E l’interlocutore più forte e disponibile all’ascolto era Vladimir Putin. Fu a lui che Papa Francesco, dopo aver organizzato nel settembre del 2013 una veglia di preghiera con annesso digiuno, chiese di fare il possibile per evitare l’escalation il rovesciamento del raís. E fu lui, Putin, a essere festeggiato come il liberatore quando la Siria orientale fu sottratta al controllo degli sgherri del cosiddetto Califfato islamista. I vescovi locali – per lo più quelli cattolici orientali – facevano a gara per ringraziare l’inquilino del Cremlino, deprecando al contempo il bellicismo occidentale, e in particolare americano. Putin che diveniva una sorta di lord protettore della Siria laica, libera dalle influenze islamiste e dalle vendette dei tagliagole di Abu Bakr al Baghdadi.
Le minoranze cristiane, infatti, vedevano (e lo vedono tuttora) nel regime di Assad la garanzia della propria esistenza: nel mosaico plurireligioso della Siria – costruzione artificiale post Prima guerra mondiale – la dinastia alawita garantisce ampio margine di libertà alle confessioni cristiane. Il timore è che, cadendo Assad (o vedendolo indebolito), il destino della minoranza cristiana segua quello già visto in Iraq: persecuzione ed esodo. Lo ripetono, in questi giorni, i preti e i vescovi, quasi a monito. Sanno però bene – e lo si comprende dai toni più smussati rispetto a un decennio fa – che Putin non ha più l’allure di quando veniva considerato il defensor fidei dei cristiani d’oriente, il principe cristiano che univa sotto la sua ala paterna e protettrice cattolici e ortodossi contro l’invasore infedele. L’annessione della Crimea del 2014 e la guerra scatenata contro l’Ucraina hanno sbiadito l’aureola del presidente russo che potrà pure mandare qualche aereo a bombardare le postazioni ribelli ad Aleppo (evitando, magari, di colpire nuovamente i luoghi francescani), ma che ha perso molto del credito che in tanti (Papa in testa) gli avevano dato. Da qui si comprende la prudenza e l’attesa: meglio non esporsi senza capire prima l’evoluzione sul terreno. Nel frattempo, “non è vero che i ribelli ci hanno proibito di celebrare il Natale o le feste natalizie. E non ci hanno chiesto di togliere i nostri segni religiosi”, ha detto a Tg2000 il vescovo latino di Aleppo, mons. Hanna Jallouf.