Spegnere i social media è possibile, modificare la nuova cultura di massa no

Il governo australiano può “spegnere” i social media, difficilmente, però, potrà modificare delle mentalità che da tempo si sono fatte cultura

Al museo D’Orsay è presente una statua intitolata “La Nature se dévoilant à la Science”. A quanti volessero, prima di giudicare, comprendere il significato del divieto di accesso ai social media per i minori di sedici anni stabilito dal governo australiano, suggerisco di volare mentalmente nel famoso museo parigino. In tal modo scorgerebbero nell’opera una fanciulla che scopre il volto coperto da un velo, il simbolo di un poderoso potenziamento che il vedere ha subito durante la modernità. Osservare, almeno da Bacone in poi, è un’attività indispensabile ai processi del conoscere e a quelli dell’esperienza. Precedentemente le immagini potevano essere segnate dal principio del segreto. Sovente nelle chiese statue e dipinti rimanevano per gran parte dell’anno nascoste all’occhio dei fedeli. Lo testimonia persino Leonardo da Vinci che, si narra, una volta annotò il seguente ammonimento posto su un’opera velata: “Non iscoprire se libertà t’è cara ché ‘l volto mio è charciere d’amore”. Almeno dal dagherrotipo in poi, i media si sono evoluti contro tale avvertenza, enfatizzando il potere della vista, strappando veli, ponendoci in una situazione di prossimità e di promiscuità con l’immagine dell’altro. I social media, in tal senso, sono solamente l’ultimo capitolo di una storia comune. In questa evoluzione i social media rappresentano, tuttavia, un momento particolarmente significativo, giacché ci obbligano a riconsiderare il significato concettuale di nozioni basilari come quella di immagine. Come ci ha insegnato Walter Benjamin, i media sono apparati capaci di influenzare profondamente i sensi e la percezione umana. Se si vuole vietare l’accesso alle immagini circolanti sui social media è, quindi, necessario prendere in considerazione la possibilità che quanti fino ad oggi le abbiano osservate si siano costruiti una struttura percettiva e mentale fondata su un ordine concettuale fondamentalmente alieno alle dinamiche della cultura di massa. Il demonio, ammesso che di esso si tratti, non va dunque cercato nei contenuti violenti, o pornografici, largamente disponibili in rete, ma nella consapevolezza diffusa che la nozione di immagine, al tempo di TikTok, abbia ridefinito i propri principi. Testimonianza, rappresentazione e seduzione, dominanti fino al cinema, sono stati sostituiti da quelli insiti nelle forme di relazione, permanenti, ubique e temporalmente espanse, modellate dai social media. Il governo australiano può, dunque, “spegnere” i social media, difficilmente, però, potrà modificare delle mentalità che da tempo si sono fatte cultura.


Federico Tarquini è professore associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi

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