La nomina della fedelissima Pam Bondi, i tanti paper su una riforma, a partire dal famigerato Project 2025. Così Trump vuole distruggere e rifare il dipartimento che più detesta, mentre si vendica
C’è stata una parentesi in cui Donald Trump non era né presidente degli Stati Uniti né il candidato ufficiale del Partito repubblicano. In quel periodo, che precede le primarie del 2024 (che poi ha vinto), Trump è stato soprattutto un imputato. Accusato di diversi crimini, dal tentativo di insurrezione per l’attacco al Campidoglio ai pagamenti a una pornoattrice, l’ex tycoon ha passato i pomeriggi nei tribunali e le comparsate pubbliche a negare i suoi crimini, circondato dalla sua squadra di amici-avvocati che a gennaio arriveranno ai piani alti del dipartimento della Giustizia. Allora, nella primavera del 2023, non si parlava che dei processi. Ci si può candidare alla presidenza se si è condannati?, si chiedevano tutti, mentre davanti ai tribunali di Manhattan si riunivano sostenitori e accusatori, si vendevano le magliette ufficiali con la foto segnaletica e giravano sui social le immagini create dall’intelligenza artificiale con Trump in tuta arancione da carcerato. In ogni occasione Trump prometteva vendetta verso il dipartimento di Giustizia. Un dipartimento, diceva, “weaponized”, usato come arma contro di lui, fulcro di una caccia alle streghe organizzata dal presidente Joe Biden e dall’establishment democratico, “uno dei peggiori abusi di potere della storia americana”, tutto pianificato dai democratici per tenerlo fuori dall’arena elettorale. Nelle parole di Trump, il procuratore a capo di alcune investigazioni, Jack Smith, era uno “squilibrato”, parte di un “nido malato di gente che deve esser mandata via il prima possibile”. “Non è solo una questione di personale del dipartimento”, aveva detto lo stratega trumpiano Steve Bannon, uscito dal carcere appena in tempo per le elezioni, “bisogna fare una purga nel dipartimento di Giustizia, ma bisogna anche riformarlo”. Nella campagna elettorale le parole d’ordine erano: vendetta e pulizia del deep state filodemocratico.
L’obiettivo è una “ristrutturazione totale” che rende meno indipendente il ministero e lo allinea alla Casa Bianca
Su una cosa Trump aveva ragione da primo ex presidente condannato e ricandidato: le accuse e i processi gli avrebbero fatto prendere più voti. E adesso che a gennaio tornerà a Pennsylvania avenue, adesso che ha già fatto le sue nomine in attesa della conferma del Senato, si parla di una rivoluzione e di liste di proscrizione. Ma cosa può fare davvero Trump al dipartimento di Giustizia? Partiamo dalle liste. Il suo obiettivo primario, altamente simbolico, è licenziare il procuratore Smith, che gli ha dato filo da torcere coordinando due procedimenti penali a suo carico. Ma Smith, che per anni ha anche lavorato alla Corte criminale internazionale dell’Aia, ha già detto che si dimetterà da procuratore speciale prima dell’inaugurazione presidenziale. Ha anche archiviato i processi federali – tentata insurrezione e documenti segreti archiviati negli sgabuzzini di Mar-a-Lago – in modo che possano essere ripresi in mano in un secondo momento. Ma la lista di persone minacciate da Trump quando metterà le mani sul dipartimento è lunga. Si va dal nemico originario Barack Obama (per aver usato l’Fbi nell’investigazione sulle connessioni tra Trump e la Russia), a Hillary Clinton (“Rinchiudetela” era lo slogan nel 2016) e poi Nancy Pelosi (per aver strappato il foglio con il discorso sullo Stato dell’unione), Joe Biden “il più corrotto presidente della storia” e suo figlio Hunter, Kamala Harris (per aver permesso l’invasione al confine), diversi procuratori coinvolti nei suoi processi, agenti federali, deputati, ex alleati, la commissione congressuale sul 6 gennaio, Mark Zuckerberg (il patron di Meta che nel frattempo è andato a trovarlo in Florida).
Quello che Trump può fare è sguinzagliare i nuovi fedelissimi capi del dipartimento, nominare procuratori speciali ad hoc e far partire investigazioni sui nemici di una vita. E anche se non si arrivasse a nulla di concreto, o a mancanza di prove, sappiamo i danni reputazionali delle investigazioni – basti pensare all’investigazione portata avanti contro Hillary Clinton, quando era candidata alla presidenza per il Partito democratico, sulle email private usate per condividere materiale protetto quando era segretaria di stato. L’emailgate colpì duramente la campagna clintoniana del 2016, anche se lei non fu mai incriminata.
Per procedere con questo piano di vendetta, sono necessarie delle modifiche sistematiche. Per vederle possiamo leggere il famigerato Project 2025, una bibbia programmatica compilata dalla Heritage Foundation, think tank conservatore di cui fanno parte diverse figure del cerchio trumpiano, come traccia per il nuovo governo (piano inutilmente sventolato dai democratici in campagna elettorale per spaventare l’elettorato moderato). Nel project è dichiarato l’obiettivo di una “ristrutturazione totale” per rendere meno indipendente il dipartimento di Giustizia e allinearlo ai desideri della Casa Bianca. Per metterla in pratica è necessario sostituire parte (o tutti) i 93 procuratori federali con dei fedelissimi, e poi prendere il controllo totale del braccio armato delle investigazioni: l’Fbi, solitamente indipendente. In carica all’Hoover building ora c’è Christopher Wray, che dovrebbe restare lì altri tre anni per completare il suo mandato decennale, ma, come ha già fatto nel 2017 con James Comey, Trump ha deciso di spingerlo verso l’uscita e ha intenzione di far nominare qualcuno di più obbediente: Kash Patel. Il devotissimo Patel, che vende magliette col suo logo “K$H”, promotore delle menzogne sul voto rubato del 2020, ha più volte parlato di chiudere gli uffici centrali dell’agenzia per distribuirla in giro per il paese, facendone perdere la sua centralità. “Dobbiamo cacciare l’Fbi fuori da Washington!”, ha urlato. Se il Senato lo confermerà, potrà mettersi al lavoro e allo stesso tempo indebolire e politicizzare un’agenzia che ha sempre cercato di mantenere la sua indipendenza.
Inoltre, per la “ristrutturazione completa”, si possono poi eliminare i regolamenti che vietano un’eccessiva comunicazione e vicinanza tra Casa Bianca e dipartimento di Giustizia, garantita solitamente per evitare che lo studio ovale inquini le indagini. E poi, togliendo alcune protezioni per i dipendenti del dipartimento, il ministro potrebbe decidere di licenziare gli agenti dell’Fbi e i legali federali non trumpiani, per togliere ogni intoppo anche ai piani più bassi. Il Project 2025 parla di istituire la “Schedule F”, un modo per liberarsi dal deep state e rendere facili i licenziamenti basati su posizioni politiche. L’obiettivo successivo sarebbe sostituire i dipendenti bipartisan con figure politiche, soprattutto nella divisione interna sui diritti civili e sull’immigrazione, rendendo più semplici le deportazioni. Ristrutturato tutto il dipartimento secondo le menti dietro il Project 2025, l’altro desiderio di Trump sarebbe investigare sulle elezioni del 2020 per dimostrare una volta per tutte che i democratici hanno davvero rubato. Niente renderebbe Trump più felice – dicono – che trasformare la Big Lie in una verità.
Da presidente Trump aveva graziato persone coinvolte nelle inchieste che lo riguardavano. Ora Biden ha graziato suo figlio
Già nel suo primo quadriennio da comandante in capo, Trump aveva usato il suo potere per graziare diverse persone bypassando il dipartimento di giustizia, tra cui il padre di suo genero, Charles Kushner, che ora è stato nominato ambasciatore a Parigi. Ma anche figure chiave della tentata insurrezione del 6 gennaio, amici come Paul Manafort, Roger Stone, Michael Flynn, Steve Bannon e un’altra settantina di fedeli e alleati, compreso il rapper Lil Wayne. Diversi procuratori e personalità del dipartimento di Giustizia e dell’Fbi avevano criticato questa operazione di grazie di massa, e con loro i quadri democratici. Avendo lunedì graziato il figlio Hunter, molti vedono qualcosa di trumpiano nella scelta di Joe Biden di salvare il secondogenito dai tribunali, come un’inevitabile politicizzazione bipartisan della giustizia.
Trump ha tutti gli strumenti a gennaio per procedere verso questa missione di vendetta personale verso deep state e nemici, ma per ottenerla verrebbe scardinato il sistema di rapporti tra giudiziario e politico che ha garantito inchieste indipendenti e un check and balance costituzionale. Dopo che è saltato il nome dell’ex deputato Matt Gaetz come segretario della giustizia, Trump ha scelto Pam Bondi, ex lobbista ed ex procuratrice della Florida, Maga fino al midollo, che aveva già lavorato nel suo primo governo. “Pam”, ha detto Trump, “riporterà il dipartimento a occuparsi del suo obiettivo prefissato, combattere il crimine e Make America Safe Again. E’ finita l’era di un dipartimento usato contro di me”. Non mancano, nelle retrovie trumpiane, soldati pronti a servire quando cade una testa, pronti a trasformare il governo, e il dipartimento di Giustizia, in una macchina per la soddisfazione vendicativa di Trump, e nel percorso perdere un altro pezzetto dello stato di diritto.