La “r” arrotata e la fedeltà alla destra, i molti voti nel collegio, lo “scivolone” sullo scostamento di Bilancio, l’attraversamento di tutte le fasi ex Msi. Un ritratto
Come Pierluigi Bersani nato in terra piacentina, ma opposto rispetto all’ex leader pd per schieramento politico e tono di voce, Tommaso Foti, neoministro meloniano per il Pnrr, la Coesione, il Sud e gli Affari Europei, non ha nella voce la morbidezza emiliana del costruttore di metafore dem più famose dell’arco politico, ma, a dispetto della fama “altalenante” di “volto buono di FdI”, l’uomo ieri subentrato a Raffaele Fitto ha consegnato alla sua “r” arrotata tutta la vis polemica di cui è capace. Come quando, il 9 marzo del 2022, con mascherina blu come gli occhiali e come le righe della maglia della sua Inter, si è scatenato in Parlamento contro l’allora premier Mario Draghi – tonitruante nella mimica e nel lessico – in tema di tasse e riforme del catasto, calcando su ogni singola “r” di “rottamare”, “pressione”, “governo” e “maggioranza”. “Le dirò di più”, diceva Foti all’ex premier, sottolineando, con giravolta politico-retorica, che loro, i meloniani, nella propria “storia politica”, avevano sempre lottato perché “i proletari potessero diventare proprietari” (altre due “r” arrotate) e ribadendo che, nella stessa maggioranza draghiana, c’era chi definiva “schiforma” la riforma del catasto mentre Draghi (che intanto guardava Foti con sommo sbigottimento) aveva “una maggioranza più interessata ai mercati finanziari che ai mercati rionali”. “Esilarrrante”, tuonava infine Toti infilando tre “r” arrotate di seguito, e sono le stesse “r” che, dicono oggi a Piacenza tra vecchi conoscitori di storie politiche locali, Foti usava quando, tra piazze e comizi, “si candidava poco più che ragazzino per una lunga serie di incarichi”. E infatti il neoministro, già capogruppo alla Camera, ha fatto tutta la gavetta che si faceva, a destra come a sinistra come al centro, quando ci si affacciava sulla scena politica negli anni Settanta: dal quartiere al Comune, dal Comune al Parlamento. Nel caso di Foti, però, il cursus lo ha visto attraversare tre diverse dimensioni dell’essere di destra: dal Fronte della Gioventù in tempi di Movimento sociale all’Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, e da lì a Fratelli d’Italia (fin dai primi giorni di vita, nel 2012), passando per un apprendistato politico presso Carlo Tassi, deputato storico della destra, per un’esperienza lavorativa nel settore agroalimentare (da cui, scherza chi lo conosce, “una certa dimestichezza attuale” con Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura) e per un’inchiesta (archiviata) per traffico d’influenze, il cui tempismo fu per Foti nefasto, in tempi di definizione dell’organigramma di governo.
Parlamentare di lunghissimo corso, fedele alla massima “non ho particolari vizi che non siano quelli propri di tutti gli esseri umani”, il neoministro è andato a scuola a cinque anni perché, come ha raccontato lui stesso, i genitori lo trovavano fin troppo vivace, come pure i compagni del Liceo Respighi, dove per tutti era “Masino”, diminutivo rimastogli appiccicato fino a oggi. Più volte, nel suo collegio, “Masino” ha fatto il pieno di voti (l’ultima delle quali nel 2022), anche come volano per l’elezione di consiglieri e sindaci (come nel 2017 per Patrizia Barbieri). “Appassionato e coerente” secondo la premier Giorgia Meloni, incapace di fermarsi “davanti alle sfide” secondo se stesso, Foti, per i nemici, dice un nemico, “è come il cinese che aspetta sulla riva del fiume, prima o poi il cadavere dell’avversario passa”. Agli occhi dell’opposizione, invece, Foti è l’uomo che, nella primavera del 2023, racconta un deputato dem che gli riconosce l’onore delle armi, si è sobbarcato da capogruppo alla Camera “il carico” per così dire logistico dell’incidente che ha portato la maggioranza ad andare sotto sullo scostamento di Bilancio (i presenti ricordano una Meloni molto adirata, di ritorno da Londra, che commenta “brutto scivolone”, e un ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che, perplesso, dice “nessun problema politico, è che i deputati o non sanno o non si rendono conto”). E chissà se oggi, in cuor suo, Foti vive questa nomina come rivincita o come compimento di carriera.