Nel calcio di oggi il centravanti è il nuovo fantasista

C’è una rivoluzione in atto: schierare attaccanti fisicamente piazzati al posto dei vecchi trequartisti. E se nemmeno Guardiola riesce a trovare ulteriori contromisure alle metamorfosi in atto significa che siamo nel mezzo di un cambio di paradigma

Ma che musica, Maestro. Che non si muore per amore è una gran bella verità, e nemmeno di possesso della palla: finalmente qualcuno lo dice, ed è Marco Giampaolo, gran teorico del calcio, in pochi giorni parzialmente ripagato da anni di cattiverie circum-sportive dopo aver mostrato un gioco bello e fruttuoso negli anni genovesi. Prima la fortunata e resiliente vittoria di Venezia, poi il pareggio in extremis contro la Juventus, meritato per tigna e qualità. Anche senza il suo schema preferito – con il trequartista dietro due punte – il tecnico abruzzese ha deciso di non distruggere il lavoro del suo predecessore Luca Gotti, rivitalizzando gli elementi di forza che si erano appannati.



“A me piace una squadra musicale, intonata. Qualche nota è passata”, dice: di sicuro pensa ad Ante Rebić, un Mondiale da protagonista (con finale) che si stava sbiadendo nel tempo. Ad Antonino Gallo, ormai consacratosi uno dei migliori esterni sinistri del torneo; al prossimo crack di mercato Kialonda Gaspar, alla ritrovata sicurezza di Wladimiro Falcone, e – va da sé – l’accompagnamento alla crescita esponenziale di Patrick Dorgu il tuttocampista. Come in Laguna, il Lecce prima resiste, poi rinviene: la Juve scarnificata non solo in difesa, dove Mattia Perin è a buon diritto un titolare in più, ha sfuriato due pali e tante occasioni, ma per segnare ha avuto bisogno di un’autorete. Di lì in poi, quasi solo Salento, fino all’epilogo in equilibrio. Sabato sera, nella Roma dello storico 2-3, la prova del nove tutta giallorossa.

Canzoni stonate, parole sempre un po’ sbagliate aleggiano invece dalle parti dello stadio Penzo, dove a far le nozze coi fichi secchi succede che non si trova l’obolo per i suonatori. Questo Venezia, tutto, appare non adeguato alla Serie A: dalla rosa poco probabile come un #MeToo tardivo e mai denunciato, alla guida monodirezionale a dispetto dei santi e degli uomini, alla società silente-assente che utilizza il direttore sportivo quale parafulmine. In una zona retrocessione comunque animata e in cerca di assestamento, le povertà arancioverdi rimangono una costante: nonostante i saltimbanchi mortali del gioco, è stato lasciato per strada qualche punto già ora decisivo. Ed è normale arrendersi alla propria realtà, in un campionato che sempre meno giustifica l’assetto a venti squadre, delle quali comunque tre dovranno pur retrocedere: l’auspicata riforma della Lega dovrebbe partire da qui, less is more.

In fondo, lo scarto palesato in campo tra l’Unione Di Eusebio di Francesco e il Bologna di Vincenzo Italiano rispecchia quasi proporzionalmente quello che, pochi giorni prima, ha visto opporre i rossoblu ai non trascendentali francesi del Lille in Champions League: questi spostano trenta metri più avanti un mediano ventenne, Ngal’ayel Mukau, congolese di Malines che sbuca dal niente. Lo nascondono ai radar e colpiscono non visti, due volte, calcio flash come le carriere mordi e fuggi della seconda generazione di africani nati in Europa negli anni Duemila. Stiamo assistendo a un passaggio che non è tanto epocale quanto sistemico, pari a quando il calcio danubiano ragionato lasciò strada a quello istintivo del Sudamerica, a cavallo della Seconda guerra mondiale.

Hai voglia a ovviare, registrando la formula del doppio centravanti mascherata dall’arretramento di individui fisicamente piazzati (ma anche no, tipo Matteo Cancellieri al Parma) alle spalle di altri come loro, in luogo dei vecchi trequartisti piccoletti di fantasia. E se nemmeno Pep Guardiola riesce a trovare ulteriori contromisure alle metamorfosi in atto, significa proprio che stiamo nel mezzo di un cambio di paradigma: e come insegnava Andy Warhol, se ne potrà parlare con qualche cognizione una volta storicizzato, tra dieci anni, dopo la fine della decade di decadenza.

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