Speravo che il continente degli ex galeotti fosse meno poliziesco

Il governo australiano vuole far passare una legge – già approvata al Senato – per impedire l’uso dei social a chi ha meno di 16 anni. La ministra laburista Michelle Rawland dice che i ragazzini vedono troppa roba disdicevole: persone che si drogano, persone violente e/o misogine, persone poco vestite, con conseguenze per la crescita e lo sviluppo. Basta pensare a chi da piccolo ha visto la mamma di Bambi morire nell’incendio, e infatti è venuto fuori maluccio. Secondo la ministra, prima di TikTok, Snapchat, X, e altre nequizie telematiche, al mondo c’erano solo alberi di eucalipto con sopra i koala abbracciati (ma castamente). Se i giovanissimi tendono a deprimersi la colpa non è della vita e dei due di picche ma del computer.



Non è chiaro in quale modo chi si collega dovrà dimostrare di non essere un pupetto: attraverso un sensore che rileva la presenza di acne? rispondendo a bruciapelo se sono meglio i nuggets di pollo oppure il sashimi? verificando i memi salvati sul telefonino e bloccando la connessione se ci sono i Minions? analizzando le playlist di Spotify e gli acquisti su Amazon? scansionando una carta di credito? Nessuno lo sa ma possiamo scommettere che il governo australiano troverà un modo efficace e indolore per incamerare quante più informazioni gli riesce. Davanti a una Francia che fa arrestare Durov (il fondatore di Telegram) e mentre gli Stati europei autorizzano la sorveglianza delle comunicazioni elettroniche senza bisogno di autorizzazione giudiziaria, speravo che il continente degli ex galeotti fosse meno poliziesco. Invece sono come noi e tirano fuori i bambini, l’ultimo argomento degli sciagurati. In Australia come in Europa ci siamo convinti che tutto fa brodo per lottare contro i pervertiti, il terrorismo, la gioventù bruciata, e rastrellare dati. Ovviamente, per il bene dei figli: perché non si sa mai, dentro il loro network potrebbe nascondersi l’ennesimo canguro pedofilo che sogna la distruzione del mondo.

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