L’io narrante è lo scrittore maturo, mentre il protagonista è un Christopher giovane e insicuro, la cui volubilità emerge dalla rilettura delle lettere e dei diari e dai rapporti con alcuni fra i maggiori autori e registi dell’epoca
Ma cosa voleva? Hirschfeld aveva visto giusto quando lo aveva definito infantile. Voleva tornare nel mondo della sua sessualità adolescente e riviverla senza le inibizioni che allora gli avevano impedito di goderne fino in fondo (…) L’innocente lussuria che aveva alimentato tutte quelle palpate di culo, quelle torsioni di braccia, quel prendersi a pugni e fare la lotta seminudi negli spogliatoi, poteva adesso uscire allo scoperto completamente nuda, senza vergogna, ed essere pienamente soddisfatta”. Ha ventiquattro anni Christopher Isherwood, nel 1929, quando decide di lasciarsi alle spalle l’ipocrisia britannica e le premurose attenzioni di una madre dalla quale non potrà mai avere piena approvazione, per trasferirsi nella libertina e permissiva Berlino, alla vigilia dell’avvento al potere del nazismo. Qui lo scrittore coltiva passioni e amorazzi, avventure e tradimenti, in preda a una curiosità abbandonica e lasciva, fra crisi isteriche e copiose lacrime. “Per quanto riguarda Heinz, le cose tra noi vanno davvero molto bene. Al momento ci siamo appena lasciati per sempre, ma questo è irrilevante”.
Nel corso di dieci anni e di numerosi viaggi, Isherwood si afferma come uno dei più interessanti e innovativi scrittori britannici del Novecento, prima di trasferirsi negli Stati Uniti nel 1938. Nel 1963, molti anni dopo aver descritto quel turbolento periodo nel suo romanzo di maggior successo, Addio a Berlino – immortalato da Bob Fosse nel ’72 nel celeberrimo film Cabaret – Isherwood dà alle stampe una più ampia e bella autobiografia, ora ripubblicata da Adelphi con il titolo Christopher e quelli come lui (387 pp., 22 euro).
Qui lo scrittore, divenuto nel frattempo una star del mondo letterario, narra di sé stesso con grande distacco e indulgenza. Per farlo, passa di continuo dalla prima alla terza persona: l’io narrante è l’Isherwood maturo che scrive, mentre il protagonista è un Christopher giovane e insicuro, la cui volubilità emerge dalla rilettura delle lettere e dei diari (in particolare quello della madre) e dai rapporti con alcuni fra i maggiori autori e registi dell’epoca. “Ricordo lo shock di Christopher quando per la prima volta si rese conto che una delle ospiti era in realtà un uomo. Si era sempre immaginato i travestiti come creature chiassose, sguaiate, volutamente artefatte (…) Christopher credeva di avere rifiutato ogni idea di normalità, e di considerarla ormai con una sorta di divertito disprezzo. Ma il tipo di normalità presente all’Istituto Hirschfeld disturbava il suo puritanesimo latente”.
Come in un film, Isherwood “riprende” Christohper come l’osservatore straniero distaccato, che riceve le prime impressioni. “Io sono una macchina fotografica, completamente passiva, che registra e non pensa”. “I am a Camera”, infatti, sarà il titolo della prima riduzione teatrale di Addio a Berlino. “Christopher e quelli come lui” è un caposaldo della letteratura omosessuale. Un libro divertente, brillante, per molti versi istruttivo. Qualcuno oggi potrebbe giudicarlo datato, classista, snobistico: al contrario, si tratta di un libro esteticamente perfetto, oltre che di notevole interesse storico. Verosimilmente gli omofobi non lo leggeranno – e se mai lo leggessero, lo troverebbero irritante.