Possiamo cercare una via per attraversare l’odio di sè dell’occidente? La contingenza, altro lato della complessità, è il volto della libertà che la modernità ha finalmente illuminato. Sul saggio di Rémi Brague
“L’uomo dell’élite occidentale odia tutto ciò che viene da fuori e che lo determina”, sia che si tratti di cultura sia che si tratti di natura. Quest’odio diventa distruttivo e autodistruttivo. Così Rémi Brague.
E allora? Possiamo cercare una via per attraversare questa condizione? Non credo convenga partire prendendo le parti della natura, di qualcosa capace di vantare un fondamento inconcusso. Se ci fosse, e avesse davvero significato, sarebbe già solo per questo inestricabilmente connesso al non-naturale, sicché la strada intrapresa con orgoglio si rivelerebbe sbarrata. Forse conviene invece cercare qualcosa di comune a ogni esperienza e a ogni suo oggetto, “naturale” o “culturale” che sia. Forse dovremmo prestare maggiore attenzione alla contingenza, qualità che accomuna tutto ciò di cui si può dare esperienza e l’esperienza stessa.
Contingenza, realtà del non necessario. Nell’attimo o nel secolo del suo darsi la contingenza non ha una realtà inferiore rispetto a quella del necessario (ammesso che di qualcosa del genere possa darsi esperienza), eppure necessario non è. La contingenza è la verità della determinatezza di cui oggi ha orrore sia chi la voglia negare per via di ragione sia chi la voglia fondare ricorrendo alle (presunte) magie di qualche -ismo, il fondamentalismo ad esempio, in verità gemello omozigote del razionalismo cui fa finta di opporsi. La contingenza, per così dire, può essere negata e odiata da sinistra e da destra.
La contingenza è richiamo, è vocazione, è domanda che interroga a partire da ogni cosa o significato che sono pur non essendo causa di se stessi. La contingenza è domanda, domanda che sa attendere, è mistero evidente e paziente. Si lascia persino ignorare, la contingenza, semmai ridicolizza chi la neghi. La contingenza consente il differire delle differenze e ne rivela eventuali pretese eccessive. La contingenza è scandalo di un non necessario che per un po’ raggiunge e appaia il necessario (ammesso che qualcosa di necessario si dia all’esperienza).
La contingenza, altro lato della complessità, è il volto della libertà che la modernità ha finalmente illuminato. Compresa come contingenza, la determinatezza si manifesta come possibilità che dischiude altre possibilità, possibilità che continuamente chiamano alla scelta. Fraintenderne la contingenza e odiare la determinatezza non apre alcuna porta, non slega alcuna libertà. In quell’odio si manifesta la fretta per il nulla. Non c’è invece alcuna fretta di dare spiegazioni alla contingenza, è già decisivo e consolante riconoscerla, non averne paura. Agostino, Sturzo e Montini, De Lubac e von Balthasar, Rorty e Derrida, Lévinas e schiere di rabbini, non ebbero difficoltà a colloquiare di contingenza. Troncare questo colloquio, o permettere che chi vi prende parte lo mortifichi, è arroganza cui è dovere resistere.