Lo psicanalista e filosofo francese interroga il processo del desiderio (individuale, di gruppo o di massa) ritenendo che l’essenza del consumo di massa sembra essere quella di aggirare la verità
Se la tecnica, come intuisce Heidegger, è il nostro destino, mi chiedo: che cosa desideriamo veramente? Qual è la pulsione che muove la società? Perché lo scivolamento verso la macchina sembra predire il nostro autoannientamento? In “Psicoanalisi e trasversalità”, da poco di nuovo in libreria per Orthotes, lo psicoanalista e filosofo francese Félix Guattari, conosciuto per il sodalizio con Gilles Deleuze, che cura l’Introduzione e con il quale scrive diversi saggi a quattro mani, illumina gli angoli bui, quelli da dove guardano gli spaventati, gli emarginati, i folli. Militante, antistalinista ed esponente dell’antipsichiatria, Guattari interroga il processo del desiderio (individuale, di gruppo o di massa) e la sua latenza, nonché il suo portato fantasmatico ed edipico. Mentre l’essenza del consumo di massa sembra essere quella di aggirare la verità, il cosiddetto “idiota della società” (parafrasando Sartre) custodisce la lampada a olio del desiderio, perché – egli lo sa – proprio mentre compie questo atto viene raggiunto da un frammento di verità.
Gli abitanti delle soglie e gli esclusi dimorano nel paradosso di una coscienza che denuncia una falla del meccanismo. Se, come rileva il filosofo nel capitolo “Macchina e struttura”, “il soggetto inconscio in quanto tale si trova dalla parte (‘du côté’) della macchina, diciamo ‘allato’ (‘à côté’) della macchina. Punto di rottura della macchina. Rottura al di qua e al di là d’essa”, solo allora possiamo parlare di una trasversalità propria del soggetto. Se il lavoro analitico, di per sé, diventa “politico”, non sarà necessario cercare in tutto ciò che abbiamo trascurato e, al tempo stesso, liberarci dall’inerzia di massa Catalizzatori di forze sotterranee sono gli scarti, i trucioli che cadono durante la piallatura ci parlano di un difetto, ma, soprattutto, di un eccesso del materiale ligneo.
La letteratura psicoanalitica si radica nell’inconscio, esattamente come nella “Tana” di Kafka il narratore costruisce il proprio rifugio nel sottosuolo. Lo scrittore non crea, analogamente allo psicoanalista e al folle, corridoi, gallerie, ponti e ghirigori sull’inconoscibile? Dunque pure il folle si nasconde e il suo rimpiattarsi rivela una struttura narrativa che si articola lungo binari trasversali. Nell’immaginario, i guardiani dei luoghi invisibili sono mostri: Minotauri, Cerberi, Draghi. Il protagonista della “Metamorfosi” di Kafka, Gregor Samsa, si trasforma in uno scarafaggio per fuggire. Non per caso Guattari e Deleuze dedicano un saggio allo scrittore boemo. Egli è infatti emblematico per la loro ricerca: i temi salienti dell’opera kafkiana – l’oppressione del sistema burocratico, il senso di colpa degli alienati e il desiderio di fuga dagli automatismi e dagli ingranaggi produttivi – indicano l’assurdità di un marchingegno che assolve sé stesso e condanna chi non si “indurisce”, non vuole farsi “cosa”, surgelato sul tapis roulant di un supermercato, diretto alle casse.
Fra un like e un outfit, l’influencer si fa oggetto e reifica il desiderio che luccica fra un brillantino e una piega, et voilà, il sortilegio è compiuto. Ma questo nulla occulta a noi stessi il nostro desiderio, che releghiamo ad altri, paralizzati dalla tortura del “tutto visibile”, luce accesa giorno e notte sulle galline affinché producano più uova. Ma che cosa ci inghiotte, come un mulinello, se decidiamo di fermarci per cercare un ricordo perduto e abbandonato sulla soglia di casa?