Una mappa dell’universo finanziario di Giorgetti

Dallo scudo della Lega su Bpm alla forte battaglia contro Unicredit. Passando per gli equilibri in Lombardia, le difficoltà nel Veneto di Zaia e le partite appese in Friuli-Venezia Giulia. Ecco come orientarsi in questa rete

La frustrazione che sta vivendo Matteo Salvini dopo che Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, ha messo a forte rischio il progetto di terzo polo bancario incardinato su Banco Bpm e Anima cui si sarebbe poi dovuto aggiungere nel tempo il Monte dei Paschi di Siena è tanto più comprensibile se si pensa che il vicepremier era riuscito ad andare a dama con l’unica pedina del mondo finanziario che il leader della Lega non considera ostile. Il rapporto tra la Lega e la Banca Popolare di Milano si codifica nel 2009 quando alla presidenza arriva Massimo Ponzellini, considerato uno degli allievi prediletti di Romano Prodi prima di essere folgorato da Umberto Bossi. All’epoca, diversi dipendenti della banca, che tradizionalmente erano anche soci con robusti pacchetti di azioni, crearono una sintonia con il mondo leghista, con quello più vicino alla cura dei territori.

Il tramonto del voto capitario ha in parte limitato il loro potere, e oggi l’amministratore delegato Giuseppe Castagna è autonomo e svincolato da appartenenze politiche, e apprezzato trasversalmente, ma il leader della Lega considera le banche più legate ai territori, nel nord, come banche da proteggere e la scelta del vicepremier di spendersi molto in questa partita nasce anche da qui. Se l’astro finanziario di Matteo Salvini in questo momento appare in ogni caso appannato e in difficoltà non si può dire altrettante per quello che un tempo era il suo declino prediletto, ovvero Giancarlo Giorgetti. Il ministro dell’Economia e delle finanze sta vivendo uno stato di grazia all’interno dell’universo finanziario italiano.

Da tempo è considerato dal mondo della finanza milanese l’unico leghista di peso con cui è possibile ragionare. Ha ottimi e consolidati rapporti con tutto l’universo di Mediobanca, con Alberto Nagel e anche con Carlo Messina di Intesa Sanpaolo e Carlo Cimbri di Unipol. E’ un interlocutorie privilegiato di Giuseppe Guzzetti, che nonostante sia formalmente in pensione è ancora l’uomo forte del mondo delle fondazioni bancarie. E non è un caso che abbia deciso di non commissariare la Fondazione Crt dopo l’uscita di Fabrizio Palenzona, come auspicato dal suo collega di governo Guido Crosetto, che con Palenzona condivide un’amicizia che risale alla comune militanza nell’ala riformista della Dc piemontese. La vicinanza a Cimbri ha consentito a Giorgetti di apprezzare la scelta di Unipol di fermarsi al 20 per cento nella scalata del capitale della Popolare di Sondrio.

Una scelta che ha preservato l’autonomia gestionale della Banca. Con evidenti ricadute positive sul collegio elettorale di Giorgetti, Lombardia 2, che ha il suo fulcro proprio a Sondrio, dove è ancora forte il trauma conseguente alla conquista francese del Creval. Se sul cielo di Giorgetti splende il sole, su Luca Zaia qualche nuvola si va addensando. Da un punto di vista locale il problema maggiore si chiama Pedemontana Veneta, infrastruttura voluta fortemente dalla regione che pur di ottenerla si è accollata il rischio d’impresa relativo al traffico. Gli incassi sono un terzo del costo annuo che deve essere retrocesso ai costruttori e questi soldi usciranno dalle tasche dei veneti fino a quando non verrà trovato il modo di accollare allo Stato la spesa. Fatica a realizzare i suoi progetti Banca Finint, l’istituto di Castelfranco Veneto guidato da Enrico Marchi e indicato come vicino a Zaia.

Pochi giorni fa, Franco Bernabè ha abbandonato la presidenza di Finint Infrastrutture. Non una bella notizia per le ambizioni di Marchi che contava di raccogliere 1,5 miliardi di euro che sarebbero serviti per il riassetto degli aeroporti del NordEst, a partire da Save, sua creatura amatissima, anche se il sogno proibito è la concessione dell’Autostrada Serenissima, la Brescia Padova, che scade nel 2026. Nella sede della banca non vogliono sentire parlare di progetto tramontato, ma solo di una tempistica allungata. Di certo la colpa non è di Bernabè che anzi è stato uno dei pochi motivi per cui molti hanno considerato l’investimento. Ma così come Cr7 non è bastato alla Juventus per vincere la Champions League, allo stesso modo la decisione di portare nel progetto un fuori quota come Bernabè non è bastata. La mancanza di un track record di investimenti da parte della società e la magnitudo della cifra hanno indotto molti potenziali investitori a non impegnarsi. E non è l’unico boccone amaro che hanno dovuto inghiottire gli uomini di Finint nelle ultime settimane.

Nelle more della cessione dell’ultima quota del Monte dei Paschi di Siena da parte del Mef sono trapelate delle indiscrezioni sulla possibile creazione di una cordata veneta interessata a entrare nel deal. Le indiscrezioni sono uscite troppo presto con il risultato che il dossier è stato chiuso prima ancora di potere essere aperto. Naviga a vista il governatore del Friuli Massimiliano Fedriga. Salviniano di stretta osservanza, con ambizioni nazionali, aspetta da almeno dei mesi che il ministro metta mano alle nomine portuali. Sono nove le autorità portuali che aspettano di vedere eletto il nuovo presidente e tra queste vi è quella di Trieste. Dopo l’uscita di Zeno D’Agostino, Fedriga vuole un nome in grado di coniugare interessi locali e nazionali, un candidato con una una forte preparazione tecnica che gli consenta di raccogliere il testimone del suo predecessore senza strappi e discontinuità. L’obiettivo ultimo è quello di assecondare i progetti di Msc che vede a Trieste il secondo polo crocieristico dopo Genova. Fedriga vorrebbe anche una robusta accelerazione della linea ferroviaria Av Trieste-Venezia. L’opera è stata annunciata quest’anno da Rfi, ma i tempi per la sua realizzazione si annunciano biblici.

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