La frattura che conta nel governo non è sul canone ma è sul posizionamento in Ue. Con il sì a Ursula, Meloni si allontana dagli amici di sempre (compreso Salvini) e si avvicina ai nemici di un tempo. Svolta di sistema, con occasioni
Fratelli d’Italia o Sorelle d’Europa? I numeri sono importanti, certo, ma la politica a volte lo è ancora di più. I numeri di ieri al Parlamento europeo, numeri che hanno permesso a von der Leyen di vedere promossa la squadra scelta per la nuova Commissione europea, ci dicono che il secondo mandato di Ursula nasce con la maggioranza più risicata della storia europea, con 370 sì, 282 no e 36 astensioni, appena dieci voti in più rispetto alla maggioranza assoluta degli aventi diritto, ma nasce anche con un obiettivo politico ambizioso, importante, che grosso modo suona così: fare tutto il necessario per rendere l’Europa più sovrana, e dunque meno sovranista, arginando i nazionalismi, superando le frammentazioni, investendo sulla Difesa, sulla sicurezza, sull’indipendenza tecnologica, sull’apertura dei mercati, sul sostegno all’Ucraina, sulla lotta contro i regimi sanguinari, sulla competitività, sul rapporto Draghi, e provando a contenere le minacce veicolate dal possibile isolazionismo che potrebbe contraddistinguere la stagione trumpiana in America. Il fatto che vi sia una Commissione europea che, al momento a parole e poi vedremo nei fatti, abbia scelto di puntare forte sull’agenda anti trumpiana per costruire il proprio futuro è una notizia rilevante, e positiva. Ma la notizia forse più rilevante, all’interno di questo quadro, è che ad aver abbracciato l’agenda Ursula è stato anche il partito guidato da Giorgia Meloni, che per la prima volta nella sua storia ha compiuto in Europa una scelta strategica, strutturale, una svolta clamorosa rispetto al passato euroscettico, ma coerente rispetto al percorso compiuto negli ultimi anni: votare insieme ai nemici di un tempo (socialisti e centristi) votando contro gli amici di una vita (patrioti e conservatori).
Ieri il mondo della politica si è concentrato molto, giustamente, sulle bizze italiane in Parlamento, con Forza Italia che ha contribuito a mandare sotto la maggioranza di governo sul tema del taglio del canone, tema caro alla Lega, e con la Lega che pochi minuti dopo si è rifiutata di votare a favore di un emendamento sulla Sanità proposto da Forza Italia. Ma le bizze, estemporanee, anche se rilevanti, maturate in Italia sono nulla rispetto agli assetti strutturali fotografati in Europa, che ci raccontano invece un nuovo equilibrio nelle istituzioni comunitarie che potrebbe avere sulla traiettoria del governo conseguenze più importanti di un emendamento sul canone. E il nuovo equilibrio è questo: Fratelli d’Italia ha votato a favore di von der Leyen come il Pd, oltre che come Forza Italia, e la Lega di Matteo Salvini ha invece votato no, come il Movimento 5 stelle, bocciando una Commissione europea il cui vicepresidente è un ex ministro (Raffaele Fitto) del governo di cui Matteo Salvini è vicepremier. Le divisioni romane sono figlie di tensioni probabilmente risolvibili in tempi brevi (una strigliata di Meloni dovrebbe bastare, almeno per un po’). Le divisioni europee sono invece figlie di tensioni non risolvibili, almeno dal punto di vista identitario, che sono la spia non di una rottura politica come fu nel 2019 (anche all’epoca il partito del presidente del Consiglio di un governo di cui Salvini era vicepremier, il M5s, primo azionista del governo gialloverde, votò a favore della maggioranza Ursula, determinando poi la fine del governo) ma di una svolta politica che proietta Meloni verso un orizzonte in cui la discontinuità con il suo passato è sempre più forte, sempre più marcata.
Non è detto che sia una discontinuità sincera, strutturale, e non è detto che la discontinuità con il proprio passato sia definitiva (tutte le svolte non spiegate, non rivendicate, sono sempre svolte ballerine, legate più all’algoritmo del potere che del buon senso). Ma ciò che non si può negare è che l’operazione politica di Ursula von der Leyen, che è riuscita a far avvicinare alla sua maggioranza europeista un partito che si trova fuori dal perimetro tradizionale dell’europeismo (FdI) anche a costo di perdere i voti di un grande partito come l’Spd (i cui parlamentari si sono astenuti), ha permesso di staccare dalle destre più estreme un partito come Fratelli d’Italia, che difficilmente, dopo la mossa europea, potrà continuare a essere considerato dalle opposizioni come un partito estremista, populista, nazionalista, animato da derive fasciste. Il quotidiano francese Echos, ieri, in un ritratto non lusinghiero della presidente del Consiglio, ha definito Giorgia Meloni “l’equilibrista del populismo europeo”. La definizione è però efficace e aiuta a inquadrare bene quella che è un’opportunità vera che ha il presidente del Consiglio in Europa, con la nuova legislatura: provare a essere un ponte tra mondi che non si parlano, tra destre che non si capiscono, tra amministrazioni che difficilmente andranno d’accordo, tra gruppi che non si intendono e cercare di sfruttare l’occasione unica che ha l’Italia, paese con un’economia tutto sommato solida, un governo stabile, una maggioranza coesa, canone a parte e Ursula a parte, in un paese in grado di usare le sue piccole carte in Europa per difendere l’interesse nazionale facendo quello che i sovranisti hanno sempre chiesto di non fare: rafforzando l’Europa, e la sua sovranità, anche a costo di deludere i follower del trumpismo che avevano sognato di dare fiducia a Meloni per farla diventare la grande trumpiana d’Europa.
Il voto di ieri – voto che avvicina Meloni ai suoi nemici di un tempo e allontana Meloni dai suoi amici di una vita, compresi gli alleati che si trovano nel gruppo guidato da Meloni, Ecr, che hanno votato contro la stessa Commissione a cui Meloni ha dato fiducia – è lì a indicare non solo il consolidamento di un percorso, l’a-trumpismo della premier, ma anche un’opportunità ghiotta che potrebbe maturare per Meloni in questo passaggio a suo modo storico, in cui i Fratelli d’Italia, per la disperazione di alcuni alleati di governo, si sono trasformati, con Ursula e Giorgia, in promettenti Sorelle d’Europa. Durerà? Incrociare le dita è d’obbligo, festeggiare per il trasformismo europeista della premier pure.