Dazi dal giorno 1, dice Trump, pure ai suoi vicini. Il Canada s’attrezza

La fissazione di Trump con le importazioni secondarie dalla Cina, e ce l’ha con Messico e Canada. Le conseguenze della politica delle tariffe

Fiuggi, dalla nostra inviata. Ieri Antonio Tajani ha ufficialmente passato la presidenza del G7 alla ministra degli Esteri canadese, Mélanie Joly. Il prossimo anno sarà il Canada del governo di Justin Trudeau a ospitare le riunioni e a guidare le discussioni, anche come unico governo non di centrodestra del gruppo delle sette grandi economie assieme a quello del Regno Unito di Keir Starmer, e quindi in evidente minoranza sui temi sociali e dei diritti . Ma ieri a Fiuggi la delegazione diplomatica canadese ha avuto un assaggio di quello che sarà il rapporto con il suo partner e alleato più potente, l’America della prossima Amministrazione Trump. In una serie di messaggi su Truth, la piattaforma social trumpiana, il presidente eletto ha annunciato che il 20 gennaio, il suo primo giorno operativo alla Casa Bianca, firmerà “tutti i documenti necessari per imporre dazi del 25 per cento su tutti i prodotti importati in America dal Canada e dal Messico”. Il flusso di quei prodotti e la politica dei confini aperti, ha scritto Trump, avrebbero causato l’arrivo di migliaia di immigrati e “un livello di crimini e traffico di droga mai visto finora”. Inoltre, Trump ha annunciato “il 10 per cento” di dazi contro le importazioni dalla Repubblica popolare cinese, una misura a quanto pare punitiva e legata alla crisi del fentanyl – l’epidemia di oppioidi in America che l’anno scorso ha ucciso per overdose oltre 81 mila persone, e il cui flusso sarebbe direttamente riconducibile alla Cina. Trump ha fatto intendere che i funzionari cinesi avevano promesso di usare la massima pena prevista in Cina – cioè la pena di morte – per le persone ritenute colpevoli di flusso di fentanyl dalla Cina agli Stati Unti. L’Amministrazione Biden negli ultimi mesi aveva attivato una serie di colloqui ad alto livello per negoziare con Pechino una risposta coordinata al traffico internazionale di stupefacenti, considerato dal potente Comitato ristretto del Congresso sulla Repubblica popolare cinese parte della guerra ibrida cinese contro l’America. Non è chiaro se la prossima Amministrazione Trump porterà avanti i colloqui.



Subito dopo le dichiarazioni su Truth, Trump e Trudeau avrebbero avuto una conversazione telefonica, non confermata però ufficialmente né dal Canada né dal team del presidente eletto. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese in una dichiarazione anonima ha fatto sapere che il paese “ha una delle legislazioni più dure sul traffico di narcotici. Ci auguriamo che gli Stati Uniti non diano per scontata la buona volontà della Cina e si adoperino per garantire che le dinamiche positive faticosamente conquistate rimangano nella cooperazione in materia di lotta agli stupefacenti”.



Il candidato al ruolo di segretario al Tesoro di Trump, Scott Bessent, ha scritto la scorsa settimana su Fox News che “i dazi sono un utile strumento di negoziazione per gli obiettivi di politica estera”. Il Canada è preparato ai dazi di Trump. Nel 2018 l’allora presidente impose il 25 per cento di tariffe alle importazioni di acciaio, ma il governo canadese fu l’unico a negoziare con la Casa Bianca una esenzione dai dazi. Secondo quanto riportato dalla stampa canadese, da quel successo diplomatico il Canada ha imparato come negoziare con Trump, per esempio rendendo più chiara la provenienza dei prodotti e imponendo a sua volta dazi sulle importazioni dalla Cina.



La fissazione di Trump – e l’ha spiegato anche ieri su Truth – sono infatti le importazioni secondarie dalla Cina. Ieri ha accusato il Messico di inondare l’America di prodotti cinesi. Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, ha detto che la Cina “ha svolto un ruolo importante nello sviluppo dell’industria manifatturiera messicana e ha migliorato la sua competitività commerciale”. Durante la campagna elettorale, Trump aveva promesso dazi contro le importazioni dalla Cina del 60 per cento.


Il governo di Justin Trudeau il prossimo anno dovrà affrontare non solo la presidenza del G7 con Trump al centro della scena, ma anche le elezioni federali che si terranno nella seconda metà del 2025. (giu.pom)

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: “Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l’Asia”, “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.

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