Sempre più sciiti credono che sia giunto il momento di conformarsi alla posizione adottata da diversi paesi arabi verso Israele con gli Accordi di Abramo. “Siamo stanchi di essere coinvolti in teatri di guerra che portano solo ulteriore distruzione”, ci dice l’ex candidato al Parlamento libanese
“Per me, l’onore di una persona affamata è più importante di Gerusalemme. Non c’è più occupazione in Libano, quindi non c’è più resistenza”. Era il 2022 quando Abbas al Jawahri, clerico sciita, allora candidato per una lista mista al Parlamento libanese, rilasciava questa dichiarazione alla rete Mtv di Beirut. Pochi giorni dopo, un suo comizio a Baalbek, la sua circoscrizione, nonché roccaforte di Hezbollah, veniva interrotto da uomini armati del Partito di Dio. Non era la prima volta, né sarebbe stata l’ultima, ma l’imam Jawahri non ha mai smesso di parlare. “Il Libano è ostaggio dell’Iran”, ripete ora al Foglio in un’intervista da Beirut. Jawahri, classe 1971, conosce da dentro l’apparato di Hezbollah: come molti giovani sciiti, aveva aderito al gruppo nel 1985, da insegnate. “Per noi la rivoluzione islamica in Iran fu una svolta: sin dai tempi dell’Impero ottomano, gli sciiti in medio oriente sono stati perseguitati, marginalizzati. Khomeini ci dava la speranza di essere finalmente parte di diritto della vita politica. Molto in fretta, gli iraniani hanno penetrato il delicato tessuto sociale libanese, creando Hezbollah e insinuandosi tra le fratture causate dalla guerra civile. Ma soprattutto hanno sfruttato la causa palestinese per mobilitare le masse: improvvisamente gli sciiti erano i principali portavoce della causa e ciò elevava la comunità sciita al pari dei paesi arabi sunniti storicamente attivi nel conflitto israelo-palestinese”. L’afflato komeinista si è affievolito in un decennio: “Non era cambiata in meglio la vita degli sciiti, né in Iran né in Libano, anzi, li aveva trascinati in un’orbita oscurantista”.
Nel 1997 nella valle della Bekaa, Jawahri creò un movimento di protesta sociale, “la rivoluzione degli affamati”. Iniziarono le intimidazioni, gli arresti pretestuosi, le sparatorie in stile mafioso. Dopo il ritiro israeliano dal sud del Libano nel 2000, considerato la più grande vittoria araba su Israele di sempre, il fatto che la retorica di Hezbollah contro il nemico sionista non si placasse diventò un ulteriore campanello di allarme per Jawahri e la sua comunità, a cui si aggiunse nel 2005 l’assassinio del premier Rafiq Hariri: “Abbiamo realizzato che gli iraniani ci aiutavano solo per controllarci: Hezbollah era completamente venduto agli interessi iraniani. L’Iran ha usato le comunità sciite come uno strumento contro il mondo arabo-sunnita e contro Israele per aumentare la propria influenza regionale e spingere l’occidente a considerare la Repubblica islamica come un attore di peso in medio oriente”. Come vivono i libanesi questa nuova guerra? “Siamo stanchi di essere coinvolti in teatri di guerra che portano solo ulteriore distruzione. Crediamo che non sia giusto intervenire in affari che non sono nostri, in particolare dopo azioni che non sono appoggiate dalla sharia islamica, come l’attacco del 7 ottobre: non è nel nostro interesse né come libanesi né come sciiti. Sempre più sciiti in Libano in realtà credono che sia giunto il momento di conformarsi alla posizione adottata da diversi paesi arabi con gli Accordi di Abramo. Crediamo che i sauditi sappiano come muoversi verso una normalizzazione con Israele che possa garantire una giusta soluzione per la questione palestinese, dobbiamo guardare in questa direzione”.
Il Libano vive un annoso stallo istituzionale, acuitosi dopo 12 tentativi fallimentari di eleggere un presidente, che per convenzione deve essere maronita. L’eliminazione di Hassan Nasrallah può giocare un ruolo nel risolvere questa crisi? “Parte dell’idea del cessate il fuoco è che ci si possa accordare su una figura di compromesso per la presidenza. Ora Hezbollah è debole e deve accettare il compromesso, cosa che non ha fatto per due anni. La figura che sembra delinearsi è quella dell’attuale capo dell’esercito libanese, Joseph Aoun”. Esiste il modo di rimpiazzare l’assistenzialismo fornito da Hezbollah alla popolazione? “Senza dubbio Hezbollah ha fornito per anni molti servizi sociali. Come nel caso del petrolio sovvenzionato dagli iraniani che Hezbollah ha distribuito durante la crisi economica più acuta. Tutto è avvenuto sotto gli occhi della comunità internazionale. L’ho detto all’ambasciatore americano in Libano che non devono permettere che questo accada. E insisto: Hezbollah non è sostenuto dalla maggior parte della popolazione, si può agire per eliminarne i fattori di influenza”. Ora che torna Donald Trump, si parla in Libano dell’influenza del suo consuocero cristiano-libanese Massad Boulos? “Si era candidato da indipendente alle parlamentari, senza successo. Ora tutti cercano contatti con lui, è chiaro che ha un ruolo di peso. Dopo il genero ebreo e quello cristiano, ci vorrebbe ora quello sciita…”.