Golden power: ecco cos’è e quante volte è stato usato dal governo Meloni

È lo strumento giuridico con cui l’esecutivo può intervenire sulle operazioni di acquisto di società ritenute strategiche da parte di imprese estere, ma anche europee. Un potere speciale nato per tutelare gli interessi nazionali, rievocato di recente anche per quanto riguarda il settore bancario

“Faremo rispettare la golden power, che per noi significa tutelare l’occupazione”. Così la sottosegretaria con delega alle crisi d’impresa Fausta Bergamotto dopo la mancata approvazione del piano industriale presentato il 20 novembre scorso dal Gruppo Beko Europe, intenzionato a licenziare quasi 2 mila dipendenti nei suoi stabilimenti italiani di elettrodomestici. E ancora: “Come è noto esiste la golden power quindi il governo farà le sue valutazioni e valuterà attentamente quando Unicredit invierà la sua proposta per le autorizzazioni del caso”, ha dichiarato ieri il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in merito all’offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit al Banco Bpm. Sono gli ultimi episodi di cronaca in cui il governo ha prospettato l’utilizzo del golden power come strumento per tutelare l’interesse nazionale, che sia l’occupazione, come nel primo caso, o un piano prettamente politico come la creazione di un polo bancario tra Bpm e Mps, come nel secondo caso, che l’operazione di Unicredit complicherebbe.

Cos’è e in quali casi si usa il golden power

Introdotto dal decreto legge n.21 del 15 marzo 2012, questo meccanismo ha lo scopo di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori ritenuti strategici e di interesse nazionale dai tentativi di acquisto di società estere. Vale a dire la difesa e la sicurezza nazionale, oltre ad alcuni ambiti di attività definiti di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. Nel corso degli anni, l’applicazione di questi poteri speciali si è estesa anche alle operazioni che incidono sulle reti di telecomunicazione elettronica a banda larga con tecnologia di “quinta generazione” (5g). Nel dettaglio, rientrano fra le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale tutte quelle varie tecnologie legate ai settori dell’intelligenza artificiale, della robotica, dei semiconduttori, della cybersicurezza, delle nanotecnologie e delle biotecnologie. Ai sensi del Decreto energia del 2022, poi, si sono aggiunti anche trasporti, salute, agroalimentare e il comparto finanziario, incluso quello creditizio e assicurativo.

La normativa consente al governo di esercitare un potere di veto, ossia di diniego assoluto a tutte le delibere, atti e operazioni che vadano a incidere sulla loro proprietà, controllo e destinazione delle società attive in questi settori strategici, qualora l’irruzione di un attore estero comporti un grave pregiudizio per gli interessi pubblici, come ad esempio una minaccia alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti. Lo stato può intervenire anche imponendo specifiche prescrizioni o condizioni ogniqualvolta ciò sia sufficiente ad assicurare la tutela degli interessi pubblici, oltre all’adozione della forma più rigida di golden power: l’opposizione all’acquisto.

A corredo di questi poteri c’è poi l’obbligo per le imprese che gestiscono attività strategiche di fornire al governo una informativa completa su queste operazioni e le loro intenzioni, con particolare riferimento ai soggetti che acquistano partecipazioni rilevanti nel loro capitale sociale. E l’inosservanza degli obblighi di notifica o l’inadempimento di impegni e condizioni derivanti dall’esercizio dei poteri sono puniti con sanzioni amministrative pecuniarie, insieme alla nullità delle delibere e degli atti adottati in violazione dei loro obblighi.

Oltre alle acquisizioni extra Ue, con imprese estere che acquistano azioni per almeno il 10 per cento del capitale, il controllo del governo si rivolge anche alle operazioni fra soggetti interni all’Unione europea, compresi quelli stabiliti o residenti in Italia. Una novità in vigore dal primo gennaio 2023, che potrebbe essere utilizzata proprio dall’esecutivo Meloni riguardo l’affaire Banco Bpm, nonostante il ministro Salvini consideri Unicredit sostanzialmente una banca estera e non più italiana.

Quante volte il governo Meloni ha usato il golden power

Come emerge dalle relazioni sull’attività svolta dal governo in materia di poteri speciali, negli ultimi due anni sulla scrivania di Giorgia Meloni (e in piccola parte anche di Mario Draghi) sono arrivate 1335 operazioni commerciali e finanziarie da sottoporre allo screening governativo, rispettivamente 608 nel 2022 e 727 nel 2023 tra notifiche e prenotifiche. Un numero incrementato nel corso degli anni, passando dalle 83 notifiche del 2019, alle 342 nel 2020 e poi alle 496 nel 2021, complice soprattutto il progressivo incremento di settori ritenuti strategici. Tanto da spingere le imprese a informare l’esecutivo delle proprie operazioni in via del tutto precauzionale, con il risultato che oltre la metà di esse è risultata al di fuori dell’ambito di applicazione della normativa golden power.

Se guardiamo però all’utilizzo del golden power come strumento per opporsi concretamente a una compravendita, il numero si riduce drasticamente. Nel 2022, ad esempio, il veto è stato esercitato in un solo caso, riguardo la concessione in licenza di codici sorgente per la produzione di robot e macchine automatizzate da parte della italiana Robox SpA. alla società cinese Efort Intelligent Equipment Co. Ltd. Nel novembre 2023 il governo ha posto il veto sull’acquisto per 1,8 miliardi di dollari di Microtecnica, la filiale italiana della società tecnologica americana Collins Aerospace, da parte del gruppo francese Safran, per poi ritirarlo a giugno 2024 dietro la promessa di un’adeguata tutela degli interessi nazionali italiani. Tramite golden power il governo Meloni si è anche opposto alla cessione da 6,5 milioni di euro della Fbm Hudson (attiva nella produzione di scambiatori di calore) da parte del gruppo che la controlla, la malese Knm, a favore di altre due aziende italiane, cioè Bm Carpenterie Oil & Gas Srl e Officine Piccoli SpA. Sulla stessa controllata il governo italiano si era già espresso respingendo la proposta di Knm di venderla alla Petro Mat Fzco, produttore di attrezzature per il settore petrolifero degli Emirati Arabi Uniti, per un costo di 22 milioni di euro.

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