La tregua in Libano secondo Israele

I soldati di Tsahal hanno catturato così tante armi di Hezbollah che i loro comandanti vogliono creare da zero una nuova unità dell’esercito per usarle. Ora sono pronti a ritirarsi, a una condizione

Il governo israeliano è pronto a firmare il cessate il fuoco in Libano, ripete da giorni l’editorialista di solito ben informato Nadav Eyal sul quotidiano Yedioth Ahronoth. Lo stato ebraico non si fida che un qualsiasi meccanismo internazionale o una risoluzione dell’Onu possano garantire, da soli, la smilitarizzazione del sud del Libano a ridosso del confine, perché hanno già fallito finora. Ma gli israeliani sono pronti a una tregua subito se il nuovo patto prevede questa clausola: a prescindere da chi sarà responsabile di vigilare, se per qualsiasi ragione non riuscisse a bloccare anche un solo miliziano di Hezbollah con un fucile in mano, noi bombarderemo quel miliziano. Il messaggio alle altre parti è: attrezzatevi a far rispettare l’accordo oppure lo faremo rispettare noi con la forza, con uno strike per ogni movimento sul campo che lo vìola. Secondo i funzionari americani, ora gli israeliani e i libanesi sono d’accordo sui termini del cessate il fuoco e il gabinetto di Sicurezza di Netanyahu dovrebbe dare il via libera formale al patto durante la riunione di oggi. Dopo tremilacinquecento libanesi uccisi e centoquaranta tra soldati e civili israeliani uccisi, il cessate il fuoco fermerebbe gli attacchi aerei da entrambe le parti e permetterebbe a decine di migliaia di persone sia da un lato sia dall’altro di tornare a casa.

Da quando le truppe di Tsahal sono entrate in Libano alla fine di settembre, Israele ha già catturato quella che chiama la “prima fascia” di villaggi e piccole cittadine controllate dal Partito di Dio appena oltre la Linea blu. E in quella striscia di terra i soldati sono andati casa per casa a caccia di esponenti del gruppo libanese e delle loro armi. Quando l’invasione di terra non era ancora cominciata, ma in dieci giorni il Mossad e l’aviazione avevano già messo in ginocchio Hezbollah (tra il 17 settembre in cui sono esplosi i cercapersone dei miliziani e il 27 settembre in cui è stato ucciso il capo Hassan Nasrallah), alcuni analisti avevano suggerito: fermiamoci qui, in questo modo è una vittoria, un’invasione di terra invece significa con certezza sostenere delle perdite, altri soldati che muoiono, e quasi sempre si risolve in un pantano. I comandanti di Tsahal avevano replicato: soltanto se perquisiamo quei palazzi uno alla volta potremo poi dire che le armi che servirebbero per lanciare un’invasione a sorpresa al contrario, da nord a sud, sono state confiscate e quindi gli abitanti della Galilea possono tornare nelle loro case senza la paura di diventare le vittime di un nuovo, eventuale, 7 ottobre. Se la distanza tra la linea delle case israeliane e la prima fascia di villaggi libanesi sotto il controllo di Hezbollah aumenta, la possibilità di lanciare un attacco a sorpresa contro Israele diminuisce.

L’arsenale di Hezbollah confiscato tra la fine di settembre e oggi è talmente grande che dentro le Forze armate dello stato ebraico si è aperta una discussione: alcuni comandanti propongono di creare da zero una nuova unità dell’esercito israeliano addestrata a usare le armi e le munizioni di Hezbollah e che abbia in dotazione soltanto quelle da qui ai prossimi anni. Non è la prima volta che Israele aggiunge un nuovo pezzo all’organizzazione di Tsahal per non sprecare grandi quantità di armi sottratte al nemico, ma l’ultima volta è successo quasi sessant’anni fa: dopo la Guerra dei sei giorni, quando le vittorie militari contro la Giordania, la Siria e l’Egitto avevano superato di molto anche le migliori aspettative dei generali che le avevano realizzate.


La bozza di accordo per il cessate il fuoco prevede che nel corso dei prossimi due mesi l’esercito israeliano si ritiri dalla seconda fascia dei villaggi libanesi, dove sta combattendo ora, e dalla prima fascia che ha già catturato. Il vuoto lasciato in questo modo verrebbe riempito dall’esercito regolare libanese, che si dovrebbe schierare nella parte sud del paese al confine con lo stato ebraico, mentre il Partito di Dio dovrebbe spostare le sue piattaforme di lancio e quello che resta del suo arsenale verso nord, oltre il fiume Litani. Per Hezbollah, che è in una posizione di debolezza rispetto a soltanto due mesi fa anche a Beirut, un accordo di questo tipo assomiglia a una resa, perché dall’8 ottobre del 2023 la milizia sciita ripete che avrebbe smesso di colpire Israele soltanto quando Israele avrebbe smesso di colpire la Striscia di Gaza.

Del quadro dell’accordo fa parte anche una lettera di garanzia firmata dall’Amministrazione Biden (ma l’Amministrazione Trump non avrà problemi a ribadirla) che rende esplicito il sostegno alle azioni militari israeliane che arriveranno se e quando Hezbollah dovesse provare ad avvicinarsi di nuovo al confine in violazione del patto per il cessate il fuoco. Secondo Nadav Eyal e le sue fonti nel governo e dentro Tsahal, gli israeliani possono rinunciare a conquistare anche la seconda fascia di villaggi in Libano se i successi ottenuti sul campo fin qui vengono preservati in ogni caso – dalla diplomazia oppure, se fallisce come sono fallite le risoluzioni delle Nazioni Unite che imponevano a Hezbollah di stare lontano dalla Linea blu e di consegnare le armi, dalla clausola che autorizza l’uso quasi automatico della forza.

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