Un posto da consigliere e un comunicato riparatore per conquistare l’ala più ecologista di Strasburgo ed evitare di accontentarsi di una maggioranza semplice per la nuova Commissione. Ma con l’imminente arrivo di Trump alla Casa Bianca, sarà essenziale recuperare la fiducia tra tra popolari, socialisti e liberali
Strasburgo. Ursula von der Leyen ieri si è lanciata in un ultimo tentativo per cercare di recuperare quanti più deputati possibili a favore della sua nuova Commissione in vista del voto di investitura che si terrà domani al Parlamento europeo. L’esito del voto di fiducia sulla nuova squadra, che comprende Raffale Fitto tra i vicepresidenti esecutivi, non è in discussione. A von der Leyen basta la maggioranza semplice. Ma non superare la soglia dei 401 voti che aveva ottenuto a luglio per essere confermata presidente per un secondo mandato sarebbe un brutto segnale politico. Dipendere da una parte della destra sovranista per avere la maggioranza assoluta in Parlamento – 361 voti – sarebbe rischioso. Così, von der Leyen ieri ha offerto al gruppo dei Verdi un ramoscello di olivo. Ha nominato il suo ex co-presidente, il belga Philippe Lamberts, come suo consigliere speciale per gli obiettivi climatici. E ha accompagnato la nomina con un comunicato riparatore, dopo che la stessa von der Leyen e il gruppo del Partito popolare europeo (Ppe) hanno escluso gli ecologisti da tutte le trattative degli ultimi quattro mesi. “Per me, il gruppo dei Verdi è parte della maggioranza pro europea”, ha detto von der Leyen. Il gruppo dei Verdi ieri sera si è spaccato, ma “una piccola maggioranza” voterà a favore della nuova Commissione.
Ogni voto conta per mascherare la realtà. “La maggioranza centrista che ha governato l’Europa sin dalla creazione dell’Ue ha raggiunto la sua morte naturale”, spiega al Foglio Alberto Alemanno, professore alla Hec di Parigi. La coalizione europeista tra Partito popolare europeo, socialisti, liberali e verdi in effetti non c’è più. Le illusioni seguite alle elezioni europee sulla capacità dei partiti centristi di restare uniti e coerenti sono svanite. Il processo di formazione del nuovo collegio, con la decisione di von der Leyen di superare la linea rossa fissata da socialisti, liberali e verdi attribuendo una vicepresidenza esecutiva all’italiano Raffaele Fitto, ha lasciato il segno (Fratelli d’Italia è considerato da molti a Bruxelles come di estrema destra). La decisione del Ppe di contestare la designazione per lo stesso incarico della socialista spagnola Teresa Ribera, usando la scusa delle inondazioni a Valencia, ha portato la tensione a un punto di rottura. La scelta del capogruppo del Ppe, Manfred Weber, di allearsi con l’estrema destra su alcuni temi come immigrazione e Green deal ha distrutto quel poco che restava di fiducia tra popolari, socialisti e liberali. I leader dei tre gruppi centristi la scorsa settimana alla fine hanno trovato un’intesa in nome del “senso di responsabilità”.
Con Donald Trump che sta per tornare alla Casa Bianca, l’Ue non può permettersi una crisi interna. Ma la coalizione europeista ha perso per strada parte dei verdi, molti socialisti e liberali, e perfino alcuni popolari. Molti deputati del gruppo dei Verdi hanno vissuto la nomina di Lamberts come un tentativo di comprare il loro voto. “Mi ha convinto ancora di più a votare contro la nuova Commissione”, spiega il verde francese David Cormand. Nel gruppo socialista, la delegazione francese ha annunciato il suo “no” per la vicepresidenza a Fitto, mentre i deputati tedeschi della Spd esitano tra astensione e voto contrario. Tra i liberali di Renew ci saranno una decina di astensioni. Nel gruppo del Ppe, il Partido popular spagnolo voterà contro per la presenza della socialista Ribera, gli sloveni del partito Sds voteranno contro per la nomina della diplomatica Marta Kos, mentre i Républicains francesi potrebbero astenersi. “Senza i deputati di Fratelli d’Italia e di alcune altre delegazioni dell’Ecr la nuova Commissione non raggiungerebbe la maggioranza assoluta”, riconosce un funzionario del Ppe.
L’aumento dell’influenza dei sovranisti e lo spostamento verso destra degli equilibri dentro il Parlamento europeo sono il risultato delle elezioni europee e dell’incremento dei seggi per i partiti nazionalisti. Secondo Alemanno, può essere visto come “uno sviluppo positivo da una prospettiva democratica in quanto è destinato a diversificare la legittimazione elettorale dell’Ue”. Ma c’è “un prezzo: il rischio di volatilità politica in un momento in cui è più necessario un rapido e audace processo decisionale dell’Ue”. La fine della maggioranza europeista “indebolirebbe la capacità della Commissione di guidare l’Ue in modo autonomo sulla base di una serie di priorità politiche chiaramente definite”, spiega Alemanno. Non è solo il Green deal a essere in pericolo. “In gioco c’è l’agenda più ampia e tradizionalmente integrazionista”, dai rapporti di Mario Draghi e Enrico Letta, al bilancio 2028-34 dell’Ue, passando per l’allargamento all’Ucraina, alla Moldavia e ai Balcani occidentali. Secondo Alemanno, la nuova frammentazione “potrebbe creare un pericoloso divario tra le aspettative dei cittadini sulla capacità dell’Unione di affrontare grandi sfide transnazionali e i mezzi a sua disposizione per farlo”.