La Viola conquista la settima vittoria consecutiva grazie anche alle parate di David De Gea e ai gol di Moise Kean. L’attaccante è secondo nella classifica marcatori dietro all’altro azzurro Mateo Retegui: uno “duello politico” tra ius soli espunto dai calendari e legge Tremaglia per italodiscendenti
La sfortuna di compiere il proprio exploit mentre l’ambiente nazionale sta ovviamente riverso alla rivoluzione, ancora sufficientemente inedita, di un numero uno assoluto nel tennis. Non vi fossero Jannik Sinner e la sua (più che) propaggine tricolore andata ancora a buon fine, ancorché da “secchione” delle pubblicità poco mostri di godersi la vita – entrando davvero nel feeling, come invece Alberto Tomba – e non si volesse per forza correre dietro a costruire la sensazione San Marino, la notizia della settimana sarebbero le sette vittorie consecutive della Fiorentina. Un premio alla caparbietà di Raffaele Palladino, che dopo i primi segnali ha resettato la difesa, allargato gli spazi, lucidati i suoi migliori elementi: e gli manca ancora Albert Guðmundsson. Ventuno punti di fila mancavano ai viola da sessant’anni, e buona parte dei meriti va condivisa con due elementi: le prestazioni di David De Gea stanno andando oltre ogni speranza, per un atleta rimasto fermo a lungo e dato in cammino nel viale del tramonto. A oggi, e per la sua storia, è riduttivo definirlo determinante: la certezza è che con un altro portiere, fosse pure il bravo Pietro Terracciano che ha tirato la carretta negli ultimi anni, la squadra non avrebbe gli stessi punti. Il secondo ringraziamento che dalle parti dello stadio Artemio Franchi sono ben lieti di tributare, è ovviamente a Moise Kean. Segna lui, in tutti i modi, segna Mateo Retegui: c’è qualcosa di poetico, di bizzarro e sicuramente di “politico”, in questa rincorsa a fregarsi le mani di Luciano Spalletti per l’inattesa messe di reti dei due centravanti azzurri: da un lato lo ius soli espunto dai calendari, dall’altro retaggi di legge Tremaglia per italodiscendenti.
Questa è “La nota stonata“, la rubrica di Enrico Veronese sul fine settimana della Serie A, che racconta ciò che rompe e turba la narrazione del bello del nostro campionato che è sempre più distante da essere il più bello del mondo
Oggi le aspettative di ben figurare alle prossime qualificazioni mondiali, nonché ai quarti di finale di Nations League, posano sotto i piedi della strana coppia, passato e futuro appollaiati a un secondo posto in classifica sempre più affollato e sempre meno provvisorio. Che nemesi, per certe cultrici e cultori della purezza, quando nemmeno la lingua ormai è esente da barbarie come la sostanziale abolizione di articoli e di preposizioni: in principio fu il “possesso palla” proprio nel calcio.
Qualcuno lo dica però al povero Michael Folorunsho, convocato last minute per gli Europei e ora in grado di raggranellare al massimo novanta minuti spiccioli nelle prime tredici giornate: ormai è chiaro (non lo fosse stato prima) che Antonio Conte cerca l’undici tipo al pari di Maurizio Sarri, circostanza che crea “intoccabili” finché le cose in campo vanno bene.
Singolare però che uno dei talenti già espressi nei mesi all’Hellas Verona e preventivato di ulteriore, progressivo sviluppo, nonostante le richieste anche notevoli intercorse durante l’estate, non venga considerato manco in quest’ultima chiave da una società che nonostante il primato in graduatoria ha gli uomini abbastanza contati…
Specie in epoca di identità mobili, con squadre come Lazio e Milan che passano spesso e volentieri dal 4-2-3-1 al 4-3-3 anche a seconda dell’avversaria oltre che delle disponibilità in organico. Proprio i rossoneri si sono resi “protagonisti”, assieme alla Juventus, di un incontro di rara pochezza: un tiro in porta significa che hanno vinto le difese, quando uno come Álvaro Morata – acquistato per segnare – gira al largo dall’area e cerca sponde di testa galleggiando nella trequarti.
Altra cosa dalla sicurezza delle nerazzurre: l’Atalanta ripesca Rafael Tolói e dimostra che Juan Guillermo Cuadrado sa ancora crossare, l’Inter – logica favorita – passeggia al Bentegodi ben oltre lo sforzo profuso. In cauda venenum: le neopromosse Como e Parma hanno raschiato il sacco degli elogi, Patrick Vieira e Claudio Ranieri – com’era logico – non compiono sùbito il miracolo in fiducia.
Ma adesso rischia anche il Torino, messo sotto nel gioco dal Monza e ora in preoccupante deficit di idee e di risultati: il popolo granata contesta Urbano Cairo, accusandolo di fare un passo avanti e due indietro. Da dietro le finestre, un po’ Berlinguer di Forattini, egli pensa a quali brioche sfornare per chi chiede pane: e anche quest’anno stonato si farà figura armoniosa l’anno prossimo.