Negli ultimi dieci giorni tre processi per voto di scambio politico-mafioso che avevano travolto importanti amministrazioni locali sono finiti con l’assoluzione degli imputati. Fare politica, cioè cercare consensi, costituisce ormai una pratica da kamikaze
Fare politica a livello locale, cioè ottenere consensi (leggasi voti) per poter essere eletti a incarichi di governo, sta diventando impossibile. Anzi, costituisce ormai una pratica da kamikaze. Colpa di una magistratura che tende a vedere il marcio ovunque, ma anche di una politica che, pur di soddisfare gli istinti forcaioli dell’opinione pubblica, ha inasprito alcuni reati, rendendoli però sempre più evanescenti. Si prenda il reato di voto di scambio politico-mafioso. Vi forniamo un dato: solo negli ultimi dieci giorni, tre processi per voto di scambio politico-mafioso che avevano travolto importanti amministrazioni locali si sono conclusi con l’assoluzione dei politici coinvolti. Le vicende riguardano tre comuni del sud Italia, ma sappiamo che ormai la criminalità organizzata è presente su tutto il territorio nazionale.
Lo scorso 13 novembre il tribunale di Nocera Inferiore ha assolto il sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti, imputato di voto di scambio politico-mafioso in un’inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Salerno. L’accusa dei pm, basata sulle rivelazioni di presunti pentiti, era che Aliberti avesse stretto un patto con alcuni esponenti di un clan mafioso in vista delle elezioni amministrative del 2013 e delle regionali del 2015: voti in cambio di futuri appalti. L’indagine esplose nel 2018 e Aliberti finì addirittura in carcere, mentre il comune venne sciolto per mafia. Al termine del processo, la Dda di Salerno ha chiesto una condanna di 6 anni e 8 mesi, ma Aliberti è stato assolto da ogni accusa “perché il fatto non sussiste”.
Martedì scorso è invece stato assolto dall’accusa di scambio politico-mafioso l’ex sindaco di Rosarno, Giuseppe Idà, coinvolto nel 2021 nella maxi inchiesta Faust condotta dalla Dda di Reggio Calabria. A causa dell’inchiesta, Idà finì agli arresti domiciliari e si dimise da sindaco insieme a tutta la sua giunta. L’accusa, anche per lui, era di aver stretto un patto con una cosca mafiosa che prevedeva l’appoggio elettorale in cambio di nomine comunali e assegnazione di lavori pubblici. Mercoledì, infine, è stato assolto l’ex consigliere regionale calabrese Rosario Mirabelli, imputato nel processo scaturito dall’inchiesta “Sistema Rende”, anche lui accusato di voto di scambio, insieme a diversi altri politici, tra cui gli ex sindaci di Rende, Sandro Principe e Umberto Bernaudo, già tutti assolti nel filone principale. Secondo i pm della Dda di Catanzaro, che avevano avviato l’inchiesta nel 2012, i politici (finiti agli arresti) avevano stipulato un patto con una cosca che prevedeva favori amministrativi in cambio di voti.
Il dato – tre processi per voto di scambio finiti con l’assoluzione nell’arco di dieci giorni – diventa ancora più impressionante se si tiene conto che il reato in questione è stato modificato per l’ennesima volta nel 2019, ai tempi del governo gialloverde, con una riforma approvata in Parlamento da M5s, Lega e Fratelli d’Italia. La modifica prevede che per configurare il reato di voto di scambio non sia necessario che l’appartenenza ai clan dei soggetti che promettono di procurare voti sia nota al politico che accetta la promessa. Secondo questa ottica assurda, il politico impegnato in campagna elettorale dovrebbe conoscere l’identità e le relative fedine penali di tutte le persone che incontra per cercare consensi. E’ molto probabile, cioè, che l’applicazione della riforma nei prossimi anni porterà a inchieste per voto di scambio ancor più numerose e dai presupposti ancora più fumosi. In altre parole, il peggio deve ancora venire.
Il fare politica, soprattutto al sud, sarà sempre di più un affare da masochisti.