Non solo dazi. La trumpnomics e l’apprezzamento del dollaro

Dazi fino al 20 per cento, un dollaro forte e le tensioni globali minacciano l’economia europea. L’Ue deve prepararsi a nuove sfide: occorre una strategia condivisa. Tre errori da evitare sui rapporti economici e commerciali con Washington

Nei due mesi che mancano all’insediamento della nuova Amministrazione Trump, sono almeno tre gli errori che l’Europa deve evitare, soprattutto per quel che riguarda i rapporti economici e commerciali con gli Stati Uniti.


Il primo è quello di credere che Trump non farà quello che ha promesso in campagna elettorale. I dazi sulle importazioni dal resto del mondo saranno una delle prime misure che verranno adottate dopo l’insediamento, il 20 gennaio 2025. Non c’è peraltro bisogno di farla passare per il Congresso perché rientra tra i poteri direttamente esercitabili dal capo dell’esecutivo. Il presidente eletto e chi lo circonda – a cominciare dal suo consigliere sulle questioni internazionali, Robert Lighthizer – sono convinti che il resto del mondo tragga ingiusto profitto del libero commercio a scapito dell’America.

Lo dimostra, a loro avviso, l’ampio squilibrio tra le esportazioni e le importazioni americane. L’Unione europea è accusata di usare la “politica industriale” per favorire le aziende che vendono a basso prezzo i loro prodotti in America. La Cina, dal canto suo, è colpevole di sovvenzionare la produzione di manufatti oltre la capacità di assorbimento del mercato interno e di vendere sottocosto. Ciò penalizza le imprese americane e distrugge posti di lavoro, in particolare negli stati che hanno votato massicciamente a favore di Trump. Per questo motivo è necessario, a suo parere, ribilanciare al più presto i prezzi relativi imponendo dei dazi che variano dal 10-20 per cento nei confronti dell’Europa al 60-100 per cento nei confronti della Cina.


Il secondo errore da non commettere è quello di pensare che la prima presidenza di Trump, otto anni fa, rappresenti un utile riferimento per capire ciò che potrebbe succedere nel prossimo futuro. C’è infatti chi ritiene che i dazi non siano in fin dei conti un problema, perché l’ultima volta che furono imposti il loro impatto fu alquanto limitato. Non scoraggiarono le importazioni dal resto del mondo, in particolare dalla Cina, che presero canali alternativi, attraverso paesi terzi come il Messico. L’effetto inflazionistico rimase contenuto. Tuttavia, questa volta sarà diverso. I dazi non saranno selettivi e non colpiranno solo i beni intermedi ma anche quelli finali. L’Amministrazione Trump è meglio preparata per far fronte agli eventuali aggiramenti dei traffici internazionali, con misure di controllo più stretto nei confronti dei paesi d’origine. L’accordo commerciale Nafta con il Messico verrà probabilmente rimesso in discussione.


Il terzo errore è quello di valutare le misure commerciali senza tener conto del più ampio quadro di politica economica che verrà messo in atto dalla nuova amministrazione americana. Le scelte di deregolamentazione già annunciate, principalmente nel settore finanziario ed energetico, i tagli delle imposte societarie e l’aumento del disavanzo pubblico accentueranno l’afflusso di capitale verso gli Stati Uniti. Il dollaro tenderà ad apprezzarsi nei confronti delle principali altre valute. La dinamica sostenuta della domanda interna, in un contesto di piena occupazione, indurrà prima o poi la Riserva federale ad aumentare i tassi d’interesse, accentuando ulteriormente le pressioni al rialzo sulla valuta statunitense. Tali pressioni si sono peraltro già manifestate, come conferma il rialzo del dollaro nei confronti dell’euro, del 3 per cento nella settimana successiva all’elezione di Trump.



Un dollaro più forte tende a ridurre i prezzi delle importazioni americane, compensando almeno in parte l’effetto dei dazi, e ad aumentare i prezzi delle esportazioni statunitensi. Tali esportazioni rischiano di rincarare ulteriormente se gli altri paesi adotteranno misure ritorsive, con analoghi dazi nei confronti dei prodotti statunitensi. Il disavanzo commerciale americano potrebbe così aumentare nei prossimi anni, non solo per effetto del dollaro più caro ma anche della domanda interna più sostenuta. Il risultato potrebbe pertanto essere esattamente opposto a quello desiderato da Trump.



Quale sarà a quel punto la reazione da parte americana? Un ulteriore aumento dei dazi, per raddoppiare la posta, o un ripensamento, nel tentativo di trovare un accordo multilaterale per evitare un apprezzamento eccessivo del dollaro?



La storia mostra che raramente gli Stati Uniti modificano le loro politiche economiche per tener conto degli effetti esterni. Quanto ai rapporti valutari, l’accordo del Plaza del 1985 tra i cinque principali paesi avanzati, che mirava a limitare l’apprezzamento del dollaro, viene ricordato soprattutto in quanto contribuì ad alimentare una bolla sui mercati finanziari che si concluse con la crisi della Borsa del 1987. Non proprio di buon auspicio per affrontare le divergenze che si prospettano nei prossimi mesi. Alle quali bisogna comunque prepararsi.

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