Blitz notturni in camera da letto e ruspe per liberarsi l’anima quando nessuno guarda, per poi ricomprare il doppio di tutti gli oggetti cestinati. “Hai buttato tu le pantofole?”, certo che no
Sono entrata nella stanza di mio figlio, ho avuto il solito capogiro, l’ho minacciato di tornare con una ruspa. Quindi sono tornata con una ruspa. Ho portato via sacchi di roba rotta, pantaloni di quando aveva nove anni, scarpe spaiate, bastoni raccolti al parco, corteccia di alberi, proiettili di pistole che non esistono più, palle di carta, palle di pongo, palle di peli di gatto, palle di calzini, insomma un bel bottino. In questo periodo di difficile classificazione dell’umore, la cosa che mi dà più felicità è entrare nelle stanze con una ruspa e poi buttare tutto. Ho portato via anche un telescopio che non ha mai visto una stella ma che da dieci anni stazionava davanti alla finestra. Le cose ingombranti danno un piacere intenso, come essere saliti sull’Himalaya direi, ma anche la sparizione dei piccoli bruttissimi soprammobili regala euforia. Mi sembra di respirare meglio, mi sembra che la casa mi stia implorando di toglierle tutta quella paccottiglia di dosso. Alcuni blitz devo farli quando nessuno guarda, di solito di notte, sennò vengo accusata di prepotenza, di furto, di mancanza di rispetto. Me ne frego, sia chiaro, perché so di aver ragione. Ma è meglio agire di nascosto, almeno fino a quando verrà il tempo in cui mi verranno riconosciuti tutti i meriti che mi spettano. Tanto lo so che se butto via una tazza sbeccata con disegnato sopra un topo morto, nessuno si ricorderà che sia mai esistita per otto anni sempre sullo stesso scaffale della cucina. Ma se la trovano nella spazzatura, cominciano a darmi dell’assassina. Se nessuno mi vede, può essere stato chiunque. Se nessuno mi vede, forse sono loro ad essere pazzi.
Per caso hai buttato via le mie pantofole invernali, quelle orrende inguardabili di lana cotta che ogni volta che le vedevi dicevi oddio che schifo? Avendole buttate via in agosto di nascosto, adesso che è novembre posso rispondere: assolutamente no, me ne ricorderei, mi spiace molto che non trovi più quegli orrori che tanto a lungo mi hanno ferito lo sguardo. Pensavo di essere stata molto furba, e in effetti per alcuni mesi mi sono liberata di quei cadaveri di nutrie, ma poi è arrivato il freddo e le nutrie sono state ricomprate, più brutte delle precedenti. Sto pensando di simulare una calamità, una tromba d’aria condominiale che trascinerà via tutti portabottiglie di vino di legno, le valigie rotte, le collezioni di lattine di birra, i computer preistorici, le penne scariche, le matite mangiate, le magliette di otto taglie in meno, le lavagne magnetiche, i giochi da tavolo, le ricostruzioni in plastica del sistema solare, i giochi dei gatti divorati a metà.
Comunque, dopo la ruspa, mio figlio ha preteso di comprare un paio di jeans, sostenendo che gli avevo buttato tutti i vestiti. Ho fatto un rapido calcolo dei chili di spazzatura usciti da casa e ho deciso che un paio di jeans poteva rientrare dalla porta senza problemi. Siamo andati, si è provato le cose più larghe del mondo e alla fine le necessità erano tante. Io ero euforica per avere scalato l’Himalaya dello svuotamento, quindi ho detto sì a tutto. Finché mio figlio ha indicato un paio di pantaloni e ha detto che erano proprio perfetti per me. Per me? Ma siamo in un negozio per adolescenti. Mamma, provateli. Vergognandomi, sono entrata nel camerino con la musica a palla. Ho provato questi pantaloni a zampa d’elefante, li ho comprati, li ho portati a casa e se qualcuno prova a buttarmeli di nascosto giuro che lo ammazzo.