Antisemiti uniti. La complicità con la Corte che all’Aja equipara Israele a Hamas emettendo un mandato d’arresto contro Netanyahu e Gallant sarà difficile da perdonare
Bisognerebbe uscire immediatamente dalla giurisdizione, o meglio dalle grinfie, di quella Corte di svitati che ha dato retta a Karim Khan, il procuratore scozzese capace di chiedere e ottenere un mandato d’arresto per il premier e il ministro della Difesa israeliani, Netanyahu e Gallant, alla pari di tre capi terroristi (Sinwar, Haniyeh e Deif) uccisi in una giusta guerra di autodifesa che, al di là delle differenze politiche anche forsennate, unisce il popolo e le istituzioni di un piccolo stato-rifugio che si batte con le unghie e con i denti per la sua sopravvivenza. Come ha detto Benny Gantz, generale e capo dell’opposizione di uno stato democratico, un simile affronto “non sarà mai perdonato”. E Yair Lapid, altro capo dell’opposizione, ha definito i mandati “un premio al terrorismo”, mentre Naftali Bennett, già capo del governo prima di Netanyahu, ha aggiunto che quei mandati sono “un marchio di infamia” per chi li ha emessi. Israele e gli Stati Uniti, unico vero alleato strategico dello stato e del popolo vittima del pogrom del 7 ottobre 2023, non sono soggetti alla giurisdizione della Corte penale internazionale (Cpi). Ma 124 paesi, tra cui tutti quelli dell’Unione europea, lo sono. Se Meloni e Tajani capissero il significato oltraggioso di quella decisione abnorme e surreale, che riguarda due ebrei vivi in guerra per difendere un popolo che li ha eletti per questo e tre fanatici antisemiti che li volevano cancellare dalla faccia della terra e hanno avuto la retribuzione che in guerra spetta ai più feroci assassini, che hanno gettato nella disperazione nello sconforto e nella miseria il loro popolo, diventerebbero 123 e l’Italia confermerebbe di non essere un anello della catena di odio politico che stringe Israele nella morsa dell’isolamento internazionale perseguito dalla strategia umanitaria di Hamas e dei mullah di Teheran e degli Hezbollah e degli houthi yemeniti.
Non succederà. C’è da temere che non succeda. Il mito della giustizia internazionale umanitaria che abroga il diritto della storia e dell’autodeterminazione di un popolo minacciato di morte su sette fronti bellici avanzerà come può, come una procedura del politicamente corretto, come un atto supremo di wokismo, impiegando oggi per Netanyahu e Gallant una misura morale che avrebbe portato ieri alla condanna di Churchill e Roosevelt, e se è per questo anche di Stalin dopo Stalingrado, e di una mezza dozzina di presidenti americani da Truman ai Bush, magari mettendoli sullo stesso piano di Hitler e Goebbels e Göring e degli altri gerarchi del Terzo Reich. Questi mandati sono stati perseguiti da un brillante oratore e sofista di spicco, Karim Khan, che dal 2021 esercita il ruolo della pubblica accusa per la Cpi con lo scopo ideologico e politico di spostare l’asse del risentimento giuridico entro la frontiera dei crimini dell’occidente. In maggio decretò che lo sradicamento di Hamas e della sua rete terroristica scudata dai civili palestinesi, consapevolmente e apertamente considerati uno strumento di difesa statistica dall’aviazione e dall’esercito che si battono per la difesa dei confini e del popolo di Israele, insomma un agnello sacrificale islamista, equivaleva a un crimine di guerra passibile della massima sanzione. In novembre ha ottenuto la soddisfazione avvocatesca e di facciata che perseguiva nella meschina ambizione di lasciare un’eredità di equanimità giuridica tra una democrazia e le bande terroristiche che la assediano e vogliono smantellarla cacciando e sterminando i suoi abitanti “dal fiume al mare”. La complicità con questa procedura mitomaniacale sarà anch’essa difficile da perdonare.