È riconosciuto all’estero come uno dei più grandi romanzieri e intellettuali arabi, mentre in Algeria è minacciato dai fondamentalisti islamici e tenuto sotto scacco dalle autorità nelle loro prigioni. L’Europa dovrà fare di tutto per liberarlo
“Sono su tutte le liste nere”. Così Boualem Sansal, il romanziere algerino, raccontava di essere nel mirino del regime di Algeri e degli islamisti in Francia. Arrivato in Algeria il 16 novembre, lo scrittore è stato arrestato. Non ha più dato notizie ad amici e familiari dal suo arrivo in patria sabato scorso (la sua ultima intervista al Foglio risale a una settimana prima). 75 anni, autore di “2084: La fine del mondo” (Neri Pozza), distopico romanzo su una dittatura religiosa in salsa islamica, Sansal ha ottenuto quest’anno la nazionalità francese. Era pronto a trasferirsi a Parigi, troppo inviso al regime di Tebboune, troppo pericoloso continuare a vivere a Boumerdes. Un parente intervistato da Europe 1 dice che il suo entourage aveva tentato di dissuaderlo dal rimettere piede sul suolo algerino. “Sansal ha detto che non si era mai preoccupato”. Lo scrittore non apre whatsapp da sabato scorso.
Al Monde, il suo amico Xavier Driencourt, ex ambasciatore francese ad Algeri, racconta di aver cenato il giorno prima con Sansal. “Il giorno successivo è tornato a casa con un volo Air France, non era preoccupato”. Fonti vicine a Emmanuel Macron, in viaggio in Cile, assicurano al Monde che il presidente è informato dell’arresto dello scrittore, per il quale si dice “molto preoccupato”. Le Monde e l’Obs lo chiamano “il dissidente che sorride”. Per altri, è il “Rushdie algerino”. Cavaliere senza paura che combatte passo dopo passo l’odio, la stupidità e l’islamismo con un sorriso da vecchio saggio, dichiarato oppositore del regime, Sansal faceva la spola con la Francia, dove è un’autorità sin dalla pubblicazione del suo primo romanzo per Gallimard nel 1999, “Il giuramento dei barbari” (Einaudi).
Nel giugno 1972, Sansal trascorse quindici giorni a Praga, durante un programma di scambio universitario. Lì conobbe Anicka, una studentessa di antropologia. Nel 1974 si sono sposati in Algeria. Due anni dopo è nata la loro figlia, Tata. Un giorno Sansal la va a prenderla a scuola e non la trova. Era stato istituito un programma di islamizzazione forzata per i bambini nati da coppie miste, o meglio, da madri cristiane. In preda al panico, Sansal mandò la famiglia a Praga. “La mia vita personale e quella della mia famiglia sono state davvero devastate dagli islamisti”, racconterà. Sansal ha subìto il boicottaggio dei paesi arabi, furiosi per la sua partecipazione al Festival degli scrittori di Gerusalemme, e per questo gli hanno tolto il prestigioso Prix du Roman Arabe. In Algeria è minacciato dalle autorità e dai fondamentalisti islamici, invitato a parlare in appartamenti e riunioni clandestine, come i dissidenti sotto il comunismo, mentre è riconosciuto all’estero come uno dei più grandi romanzieri e intellettuali arabi.
Quando gli hanno chiesto qual fosse stato il fattore scatenante che ha cambiato la sua vita, Sansal, ha risposto: “Fu un giorno del 1990 quando, leggendo l’appello al jihad del Fronte islamico di salvezza, mi resi improvvisamente conto che questa guerra non era una guerra, nemmeno un jihad, ma un cancro che aveva divorato il mondo dall’avvento dell’islam nel VII secolo. Con gli attentati islamisti a Parigi, a Londra e Madrid, sono ricaduto nella disperazione, l’islamismo era sceso in Europa e non avevamo dove rifugiarci”. Lui sperava che Parigi fosse il suo rifugio. La Francia per motivi storici e l’Italia energetici devono fare di tutto per tirarlo fuori di prigione. Oltre al gas, questi regimi non posso venderci anche la corda con ci impiccheremo.