Dalle regionali un dato certo: si scrive M5s, si legge Movimento 5 sberle

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – I Cinque stelle almeno un obiettivo l’hanno azzeccato: la “decrescita felice”. La loro.

Michele Magno

Ricapitoliamo: 7 per cento in Sardegna, 7 per cento in Abruzzo, 7 per cento in Basilicata, 6 per cento in Piemonte, 4 per cento in Liguria, 3 per cento in Emilia-Romagna, 5 per cento in Umbria. Dunque, ci siamo. Si scrive M5s, si legge Movimento 5 sberle.


Al direttore – L’inchiesta Eni-Nigeria con l’inesistente maxi tangente; quella sulla mai avvenuta manipolazione del mega appalto Consip, per finire con l’indagine sulla strage di via D’Amelio e l’ormai acclarato depistaggio. Tre storie di cronaca giudiziaria che per anni hanno occupato i titoli dei tg e le prime pagine dei quotidiani, adagiati sulle tesi dei pm, e che hanno una cosa in comune: i fatti erano diametralmente opposti a quelli inizialmente ipotizzati dai magistrati inquirenti, e soprattutto celavano le responsabilità nella conduzione delle indagini, in via di accertamento definitivo, della pubblica accusa o della polizia giudiziaria. Basterebbe questo a giustificare gli interventi legislativi della maggioranza sulla giustizia. Anche se, va detto, il timore è che si riveleranno ampiamente insufficienti. Fanno però ridere coloro che protestano accusando governo e Parlamento di voler mettere il bavaglio alla stampa e legare le mani alla magistratura.

Luca Rocca

Tutti casi, come da sintesi perfetta del nostro Ermes Antonucci, in cui alla fine l’unico reato emerso dalle suddette inchieste ha coinciso con l’inchiesta stessa.


Al direttore – Il ritorno del trumpismo alla Casa Bianca rende inadatte alcune categorie interpretative mediante le quali fino a ora abbiamo cercato di leggere la complessità del fenomeno del tycoon americano e del movimento che lo sostiene: ad esempio, quelle di populismo e isolazionismo. A mio parere, il secondo trumpismo si pone oramai oltre il populismo inteso come rapporto diretto plebiscitario tra un capo e il proprio popolo elettorale (c’è anche questo, ovvio, ma non è più il fattore dominante), per presentarsi piuttosto quale cornice di significato, strumento e prospettiva cognitivo-interpretativa dell’America e del mondo. Ed anche il tradizionale isolazionismo – sempre presente nella storia americana come un fiume carsico che di tanto in tanto ritorna in superficie – non sarà, a mio parere, il segno prevalente del trumpismo odierno, che è invece organicamente integrato nella globalizzazione e digitalizzazione del mondo, non appena si rifletta sul significato di una figura come Elon Musk e sulla cordata di grandi imprese hi-tech della Silicon Valley che ha appoggiato Trump. La svolta sostanziale, sul piano del ruolo globale degli Stati Uniti, è un’altra: il passaggio dal multilateralismo dell’interventismo democratico al bilateralismo della geopolitica trumpiana dei rapporti di forza dati e delle relazioni a somma zero. Non sarà, dunque, isolazionismo.

Alberto Bianchi

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