Nel cuore cosmopolita d’Europa viene cancellata per motivi di sicurezza la presentazione di un’inchiesta sull’inflitrazione dell’Islam negli istituti scolastici. Una risposta drastica alle continue intimidazioni ricevute da chi lavorava all’evento, mentre da Teheran si mandano al macero centinaia di libri “in conflitto con i valori islamici”
Il sindaco di Bruxelles, Philippe Close, era contento di guidare “la città più cosmopolita del mondo dopo Dubai”. Ma liberalismo e multiculturalismo a un certo punto entrano inevitabilmente in conflitto. Inizi con la squadra di calcio israeliana e non sai dove finisci. Close ha deciso di non farla giocare contro il Belgio a Bruxelles, troppo pericoloso. Così hanno gareggiato a Budapest. Troppo pericoloso anche omaggiare i vignettisti di Charlie Hebdo al Museo Hergé. Ora un’altra vicenda scuote il paese. Laurence D’Hondt e Jean-Pierre Martin hanno pubblicato un’inchiesta sull’infiltrazione dell’islam nelle scuole, “Allah non c’entra nulla nella mia classe”.
In occasione dell’uscita del libro a Bruxelles, presso la catena Fnac di Woluwe-Saint-Lambert, era prevista una conferenza alla presenza degli autori. Ma è stata cancellata per motivi di sicurezza. La decisione ha suscitato scalpore, in un paese abituato a procrastinare di fronte alle ondate di islamismo. Nei giorni precedenti e in più occasioni, islamisti avevano preso di mira la Fnac, cercando di intimidire il personale. Pretendevano la rimozione dei manifesti che annunciavano il convegno e il ritiro del libro. D’Hondt e Jean-Pierre Martin dicono che il caso dimostra che il Belgio si trova ad affrontare un’offensiva islamica.
Come quando si è scoperto che studenti e studentesse musulmane erano riuniti in preghiera nei locali della Libera Università di Bruxelles, fondata dai massoni nel XIX secolo. Tutto è partito dalla denuncia di un’attivista laica, Nadia Geerts, che in un articolo pubblicato sul quotidiano La Libre ha rivelato l’esistenza di una sala di preghiera. “In tutta tranquillità, da almeno otto anni, gli studenti si incontrano ogni giorno per pregare; prima gli uomini, poi le donne”, ha scritto Geerts, un passato da militante ecologista e oggi responsabile di un centro di ricerca del Movimento Riformatore, che unisce liberali e cristiano-democratici. L’attivista ha denunciato che all’università, in teoria laica, si trovano “vestiti per le donne, tappeti, invocazioni da recitare”.
Intanto i talebani
“Il titolo del libro non è una provocazione”, spiegano gli autori del libro che fa scandalo, Laurence D’Hondt e Jean-Pierre Martin. “Allah non c’entra nulla nella mia classe: abbiamo sentito questa frase pronunciata da diversi insegnanti durante la nostra indagine. Un bambino che si rifiuta di sedersi vicino a una ragazza in classe. Uno che critica la sua insegnante perché arriva con la gonna o non è sposata. I bambini che si rifiutano di riporre i loro contenitori per il pranzo accanto a quelli dei loro amici con il pretesto che contengono panini al prosciutto. Genitori che si rifiutano di permettere alle loro figlie di frequentare le lezioni di nuoto”. Ma non si parli di tutto questo. L’antropologa Florence Bergeaud-Blackler ha ben detto che “l’islamismo è tabù in Belgio”.
Intanto però il sindaco di Teheran ha preso parte al Summit urbano di Bruxelles, evento internazionale che ha riunito i rappresentanti eletti di città con più di un milione di abitanti. Nella foto di famiglia dei sindaci invitati per l’occasione a Bruxelles c’è anche l’iraniano Alireza Zakani. E a proposito di “libri che offendono l’islam”. Il Ministero della Cultura dei talebani (sì, sembra che ne esista uno che si chiama così) ha annunciato che quattrocento libri “in conflitto con i valori islamici” sono stati sequestrati e mandati al macero. Il “dipartimento responsabile dell’editoria” dei talebani ha distribuito copie del Corano e di altri testi islamici per sostituire i libri sequestrati. Fra i libri sequestrati, anche “Gesù, il figlio dell’uomo” del libanese-americano Khalil Gibran, perché contiene “espressioni blasfeme”, e il romanzo “Il crepuscolo degli dei della steppa” dell’albanese Ismail Kadare, più volte candidato al Nobel per la letteratura e da poco scomparso. E chissà se “I tamburi della pioggia”, il grande romanzo di Kadare sull’assedio turco all’Albania di Giorgio Castriota per il quale fu già accusato di “islamofobia”, sarebbe pubblicato oggi in occidente. A Bruxelles non avrebbe vita facile.