I tecnici criticano a ragione la misura introdotta con Conte, ma c’è anche da dire che i conti tedeschi preoccupano più dei nostri
Non si conoscono due tipi giornalistici e umani più intellettualmente onesti, e professionalmente informati, di Luciano Capone e Carlo Stagnaro. Hanno avvertito per tempo sui rischi del debito comportati dal Superbonus al 110 per cento. Hanno insistito, testimoniato, documentato, battagliato con grinta per mesi, per anni, in particolare qui, su questo Foglio. Fu un gioco in solitario o quasi, nutrito di indipendenza politica e culturale, di pregiudizi liberali sacrosanti, una specie di “afuera!” ante litteram Milei, e senza bisogno della sega elettrica, dei cani clonati, della couture liberista, è bastato un occhio spassionato e vigile combinato con un solenne disinteresse per la Politica. Un onore averli con noi, un motivo di orgoglio, tanto più che scrivono chiaro forte bene, e un pamphlet polemico di quello ha sopra tutto bisogno, deve potersi leggere come un racconto di fatti e idee e persone e segreti svelati, un thriller psicologico, e questo è il caso. Ora è gioco facile dire che il loro pamphlet da Rubbettino, “Superbonus – Come fallisce una nazione”, spiega magistralmente le cose, riassume obiezioni fortissime in nome della logica, in nome della sostenibilità in economia e in finanza pubblica, in nome di una rassegna spietata delle responsabilità di tutta la politica e di gran parte del personale tecnico.
Avrebbero dovuto prevedere la voragine, creare un argine, essere responsabili, e non hanno fatto niente di tutto questo, non sono stati classe dirigente. Giuseppe Conte annunciò la bonanza da sussidio nel maggio del 2020, nei mesi cruciali della catastrofe pandemica, col pil giù a rotta di collo e tutti dentro casa; Riccardo Fraccaro 5 stelle, munito della consulenza di una scuola di pensiero o teoria monetaria moderna, che loro dicono con Alberto Bisin né moderna né teoria, elaborò il dossier con quella percentuale inaudita, spropositata, il 110 per cento, il famoso “graduidamende” della campagna elettorale grillina; Roberto Gualtieri cercò di limitare i danni, ma fu travolto; e alla fine l’ex ragioniere generale dello stato, Daniele Franco, ministro dell’Economia sotto Draghi, e Draghi stesso, nonostante obiezioni flebili via via irrobustite dall’esperienza del grandissimo buco finanziario, diedero impulso e rotondità, sotto il segno dell’ultra unità nazionale, compresa l’opposizione meloniana, al grande disastro del “debito buono” che poi era “cattivo”, a pensarci bene.
A pensarci bene e anche meglio, però, i mercati oggi sono preoccupati del debito francese più che di quello italiano, e della recessione in Germania, e il nostro spread è diminuito di 29 punti dall’inizio dell’anno in rapporto con il Bund decennale tedesco. Inoltre, vero che il Superbonus è valso “solo” l’1 per cento di pil, vero che le ristrutturazioni hanno riguardato “solo” il 4 per cento del patrimonio edilizio nazionale, vero che i dati su edilizia lavoro floridezza delle banche circolazione degli investimenti sono o possono essere considerati controversi, ma il fallimento di una nazione, salvo qualche preoccupazione per i posteri, che però come dice il pensiero edonista reaganiano non hanno fatto nulla per noi, non c’è stato. Quando sul Financial Times Draghi scrisse, in tempo, “fate debiti a rotta di collo per evitare la tragedia”, e coinvolgete le banche di brutto, e fanculo i collaterali, e quando poi ha detto a Rimini, ai ciellini per di più, che c’è il “debito buono” e c’è il “debito cattivo”, cosa che gli procura rimostranze dei nostri autori, impietosi anche con il suo keynesismo politico, ma suscita in quelli cinici come me una gratitudine immensa per l’economista fattosi integralmente uomo di stato, whatever it takes, la strada tortuosa e accademicamente sbagliata del fantastico Superbonus era aperta. E Capone e Stagnaro documentano che la tentazione con il bonus facciate, altra geniale invenzione, e i bonus rubinetti docce e zanzariere e il Reddito di cittadinanza e altri ritrovati consimili, era spianata da tempo, perché il compito della politica è anche temperare la logica economica del pasto gratis che non c’è, evitando alle nazioni e ai loro popoli di morire di fame e di stenti.
A un certo punto ci si è accorti che i crediti d’imposta, rafforzati dallo sconto in fattura, e l’esagerazione del 110 per cento fatta, come riconoscono gli autori, per coinvolgere gli incapienti, coloro che non avrebbero mai investito, tutto questo equivaleva a far circolare una moneta fiscale parallela, censurata da Eurostat, agenzia di ragionieri, e il debito è stato penosamente inflazionato, con conseguenze a lungo termine alle quali farà riscontro la capacità molto italiana di “spalmare” nel tempo, forti anche del contiano Pnrr, complemento a grant e a debito del Superbonus. Incrociamo le dita, auguriamoci che l’allievo di Schäuble, Merz, diventi cancelliere con idee meno punitive del suo maestro, e ricordiamoci che l’Italia non è la Grecia, verrebbe da dire “purtroppo” visto il brillante esito della cura fiscale inferta ad Atene, e il sistema politico nostro, anche a gestione scappata di casa, nella memoria eterna dei vivacissimi Pomicino e Carli, con il contributo determinante del gran Draghi e l’assestamento sornione di un favoloso Giorgetti, è capace di dare la stura a una gigantesca spesa pubblica a debito, ma produttiva, evitando il fallimento della nazione.