Schlein, sua sanità fa scattare l’operazione “ospedali”. Sognando Palazzo Chigi

La segretaria del Pd lancia la mobilitazione per la sanità pubblica e dice agli alleati incontriamoci su questi argomenti. La segretaria punzecchia Meloni, la sua avversaria ideale

Riparte da una corsia di ospedale sperando poi di correre veloce su quella di sorpasso nel rettilineo che la dovrebbe portare a Palazzo Chigi. Ecco Elly Schlein capace come Forlani (ma con l’eskimo) di parlare per un’ora abbondante sotto una pioggia di domande senza dare grandi titoli o emozioni. Magari questa è la sua forza. Al termine della conferenza stampa post regionali, i cronisti se ne vanno rassegnati, con una serie di parole chiave segnate alla rinfusa ma non inedite: unità, umiltà, anima, connessione con il popolo, Tina Anselmi, lavoro di semina… Comunque la prima notizia è che il Pd lancerà una grande mobilitazione per medici e infermieri contro i tagli alla sanità. La seconda è una conferma: Schlein si vede a Palazzo Chigi. “Tempo al tempo”.



Nel frattempo la segretaria continua il corpo a corpo, che poi forse è un tango, con Giorgia Meloni: le due leader sono speculari, ciascuna la migliore avversaria dell’altra, con tanti saluti ai secondi, entrambi in crisi: Matteo Salvini da una parte e Giuseppe Conte dall’altra. Si affrontano e in un certo senso si sostengono in quello che a Roma si chiama areggime che t’areggo. Uno status quo destinato, salvo sorprese, a continuare con il gran finale delle elezioni politiche. E che è passato proprio dalla piccola, ma fondamentale, Umbria. Se Schlein non avesse vinto le cose per lei sarebbero diventate complicate in un partito che per statuto di giorno elegge segretari e di notte studia poi come impagliarli.

E forse a Meloni fa più comodo avere dei punti di riferimento chiari all’opposizione piuttosto che il caos, il gas. Sicché Schlein pungica la premier in questa conferenza stampa quando dice che “lavora per mandarla via da Palazzo Chigi”, oppure, e qui affonda il coltello nella piaga, che “ha perso il contatto con le persone perché chiusa nel Palazzo”. E ancora, da donna a donna: “Meloni che difende le parole di Valditara sui femminicidi mi ha colpito”. Da questa conferenza stampa emergono altri dettagli rivelatori su questo Pd: è un partito leggero senza strutture, nato per il movimentismo e il girotondismo. “Quella per la sanità pubblica sarà una grande mobilitazione”, dice Marta Bonafoni (coordinatrice della segreteria). Al Nazareno a questo evento ci sono solo Igor Taruffi (che chatta e rincuora Andrea Orlando, lo sconfitto ligure), Marco Sarracino, l’umbra Anna Ascani e Andrea Martella. Stop. Poi il cerchio magico della segretaria, certo: Flavio Alivernini & Gaspare Righini, il portavoce e l’uomo-agenda. E quindi, parafrasando Berlinguer, la parole d’ordine della segreteria è casa per casa, ospedale per ospedale, corsia per corsia. Schlein che sembra lucidarsi il partito con gli occhi, un gioiellino che in Umbria e in Emilia -Romagna ha fatto il suo dovere, sa che il problema è fuori. Sono gli alleati. La terra di mezzo del centro, abitata da Carlo Calenda e Matteo Renzi in attesa, chi sa, un papa nero, e poi i dolori del giovane M5s contiano, vero argomento che assilla il Pd, e non poco. Ecco perché l’elezione di Gaetano Manfredi, civico di congiunzione tra grillini e dem, a capo dell’Anci è stata fortissimamente voluta dalla segretaria, a scapito del riformista Stefano Lo Russo. La leader si dice paziente e convinta che i veti che animano i cespugli intorno a lei alla fine cadranno davanti a una consuetudine fatta di battaglie comuni: la sanità, l’Autonomia, il salario minimo e via discorrendo. “Non facciamo da soli”, ripete per smentire lo spirito della vocazione maggioritaria e bipartitica che anima e governa le cose in questo momento. “Il mio ruolo è mediare e non dire agli altri cosa devono fare”, aggiunge con la consapevolezza di chi sotto sotto sa di essere destinata a mettersi a capo del cucuzzaro. E quindi “piedi a terra e lavorare”. Sulle questioni che impegnano il partito in prima persona e sulle quali c’è un discreto rumore di fondo, la segretaria dice che è d’accordo con Meloni sull’Ucraina con l’avvento di Trump (“per noi non cambia la situazione, abbiamo sempre detto che avremmo sostenuto il popolo aggredito da Putin. Non abbiamo mai criticato il governo sulla cautela nell’utilizzo delle armi italiane, ma è mancata l’iniziativa diplomatica”). Più sfumata e forlaniana, questo sì, sull’appoggio a Raffaele Fitto come vicepresidente esecutivo della Commissione Ue (“il tema è politico, non riguarda i nomi, ma la maggioranza di von der Leyen”). Dopo un’ora mezza titoli di coda al Nazareno che per i maligni altro non è che un comitato elettorale permanente di Schlein. Borraccia in mano, sola al comando di questo centrosinistra alla ricerca di una forma.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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