L’arcivescovo di Chieti-Vasto minimizza le parole di Bergoglio, giudicando la risposta di Israele al 7 ottobre “senza dubbio sproporzionata”. Ma dall’ambiguità delle parole si rischia di scivolare rapidamente nella giustificazione dell’antisemitismo
Se un Papa callejero e diplomaticamente scazonte usa male, con l’unica circospezione del dubitativo, la parola “genocidio” fa uno sbaglio nella interpretazione e nell’uso della parola in fondo prevedibile. O in qualche modo prevedibile. Se un raffinato teologo di carriera, con lunga bibliografia oltre al rango ecclesiale, un teologo-filosofo che si è occupato di Jaspers e Lévinas, di linguaggio e di ermeneutica, attorno alla parola “genocidio” fa ancora più confusione, rincarando l’errore, questo è decisamente meno accettabile. Quantomeno perché un teologo dogmatico, e avvertito di ermeneutica, non dovrebbe uscire dal proprio campo, né parlare a braccio di politica. Di rincalzo alle anticipazioni dal libro di Papa Bergoglio – “bisognerebbe indagare” se “ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio” – l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte ha rilasciato un’intervista al Corriere in cui dapprima minimizza: “Il problema non è la parola ‘genocidio’, il problema sono i fatti… E’ uno scandalo quella parola o non, piuttosto, quello che sta facendo il governo Netanyahu?”. Ma, richiesto di definizione anche per il “massacro genocida” (come replicato dall’ambasciata israeliana al Papa) del 7 ottobre, Sua eccellenza dà questa risposta: “Guardi, ciò che ha fatto Hamas il 7 ottobre è atroce e va condannato con fermezza. Ma la risposta è stata senza dubbio sproporzionata”. In cui la parolina magica, “genocidio”, però non compare. C’è la parola sproporzione, e ci mancherebbe. Del resto è “l’opinione di tanti, anche di molti ebrei miei amici”, perché in fondo tutti hanno sempre un amico ebreo.
Insomma sostiene Forte che “si tratta di capire l’intenzione del Papa. Al di là del termine, ha voluto dire che ciò che sta accadendo è qualcosa di inaccettabile e atroce”. Si potrebbe obiettare, al Papa ma soprattutto a lui che dell’uso e delle interpretazioni delle parole è un professionista disciplinare, che tra “inaccettabile e atroce” e “genocidio” c’è un abisso storico ed ermeneutico. Tant’è vero che anche storici e giuristi utilizzano con difficoltà e parsimonia quella definizione. E del resto anche Edith Bruck, sopravvissuta alla Shoah e amica di Francesco, ha detto che ha sbagliato. Ma niente, Forte preferisce utilizzare l’ambiguità delle parole: “Alla lettera significa la distruzione di un ghénos, di una stirpe o di popolo. La definizione adottata dall’Assemblea dell’Onu nel 1948 lo definisce come ‘l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale’. E’ davvero così scandaloso applicare una definizione simile, di fronte a ciò che sta facendo il governo israeliano a Gaza?”. Che il 7 ottobre sia stato un tentativo genocida, e l’uccisione di tutti gli ebrei in quanto ebrei sia negli statuti di Hamas, viene invece taciuto da Forte, secondo la più corriva sottovalutazione vaticana. Laddove basterebbe riflettere che nemmeno per Hiroshima o Dresda, oggettivamente tra i più grandi crimini della guerra di rappresaglia mai attuati, la parola genocidio sia stata usata. Ma dalla cattiva ermeneutica è inevitabile si finisca a nella giustificazione: “Che l’antisemitismo sia crescendo, purtroppo, è un dato di fatto. Mi chiedo: è la parola ‘genocidio’ che sta portando a questo o è un effetto perverso della risposta sproporzionata di Netanyahu e della sua coalizione?”. Detto in pessima teologia: se la sono cercata.