No, non è vero che la Corte costituzionale ferma Calderoli sull’Autonomia

La Consulta ha corretto solamente alcune storture della riforma e ha consentito all’iter di procedere su basi più solide, in attesa di capire se ci sarà o no il referendum

All’indomani del comunicato con cui la Corte costituzionale ha anticipato l’esito del giudizio sulla legge Calderoli, sorprendono le reazioni di chi ritiene che il percorso di differenziazione si sia arenato. Per quanto sia banale ricordarlo, la Corte ha, infatti, chiarito che non è in discussione il “se”, ma il “come” dell’autonomia differenziata di cui all’art. 116.3 Cost. Cosa non va, dunque, nella l. Calderoli? Molte cose e la Corte le ha puntualmente elencate. I rilievi non snaturano, però, il processo di devoluzione, al massimo lo irrigidiscono.

In particolare, la Corte afferma che la differenziazione non riguarda intere materie, ma solo specifiche funzioni legislative e amministrative. Il principio, pur dirompente, è coerente con le richieste finora avanzate dalle regioni che non hanno chiesto l’attribuzione integrale delle 23 materie del 116.3 Cost., bensì l’assegnazione di funzioni specifiche nell’ambito di tali materie, sulla base di motivazioni succinte, ma non arbitrarie. La sussidiarietà, evocata dalla Corte, non è un criterio “matematico” che definisce con esattezza quali funzioni devolvere, ma un principio flessibile che, combinato con quelli di adeguatezza e differenziazione, richiede che l’esercizio dei poteri pubblici si svolga, ove possibile, al livello di governo più vicino al cittadino. Ogni regione dovrà convincere lo stato che date funzioni possano essere meglio esercitate a livello decentrato, e lo stato potrà opporre, come ha già fatto in questi mesi, evidenze contrarie. Inoltre, la Corte stabilisce che il Parlamento potrà intervenire non solo con atti di indirizzo o respingendo l’intesa raggiunta tra stato e regione, ma anche emendando il testo. Del pari, l’iniziativa legislativa per il recepimento dell’intesa non spetterà soltanto al governo. Questo comporta il rischio di un iter confuso, con plurime iniziative legislative e frequenti rimandi a nuovi negoziati in caso di stallo. Alla luce di questo aggravio, è logico che la l. Calderoli sia ora modificata per eliminare alcuni passaggi superflui a monte.

Senonché, ove le Camere facessero ostruzionismo, il governo potrebbe porre la questione di fiducia sulle leggi di recepimento delle intese: l’eterogenesi dei fini per la valorizzazione parlamentare. Quanto ai Lep, la Corte afferma che vanno definiti e modificati solo con legge o atto avente forza di legge, non con dpcm. Questo significa che l’iter dovrà ripartire una volta che il Parlamento avrà individuato principi e criteri per delegare il governo.

Di fatto, l’intervento della Corte cambia poco, poiché la delega sarà ritagliata su un lavoro già in corso nei ministeri destinato a chiudersi non prima di due anni. La devoluzione, invece, è stata già avviata dal negoziato tra 4 presidenti di regione e governo su “materie non-Lep”. La Corte non sconfessa la categorizzazione del Clep di Cassese (contestata dalle regioni ricorrenti), ma osserva che il trasferimento di funzioni in tali materie è accettabile se queste non toccano prestazioni inerenti a diritti civili e sociali. Il controllo della Corte in proposito sarà a posteriori su ogni legge di recepimento delle intese ma, a oggi, non viene imposta una sospensione dei negoziati su tali materie. Sotto il profilo finanziario, la Corte precisa, ove la l. Calderoli risultava vaga, che le modalità di finanziamento delle funzioni tramite compartecipazione al gettito dovranno fondarsi non sulla spesa storica, ma su costi e fabbisogni standard. Al riguardo, non necessariamente sfavorevole alle regioni è la declaratoria d’incostituzionalità della modifica annuale delle aliquote di compartecipazione al gettito ove serva per assicurare alla regione risorse aggiuntive a fabbisogno invariato (un meccanismo che premia gli enti più inefficienti).

Infine, la Corte richiama il legislatore alla necessità che tutte le regioni, anche quelle che si differenziano, concorrano al risanamento dei conti pubblici. Doveroso, ma nulla di trascendentale, visto che è un’ipotesi invalsa che interessa regioni ordinarie e speciali. Lungi dall’aver fermato l’autonomia differenziata, la Corte ne ha corretto alcune storture, ponendo l’iter su basi più solide. In attesa di capire se il referendum verrà celebrato, tocca ora alla politica dimostrare di voler continuare a lavorare sul terreno tracciato.


Giovanni Boggero Università di Torino

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