L’orchestra come immagine di una società civile che lavora verso un obiettivo comune. Nel suo nuovo volume, il Maestro delinea un atto d’amore esplicito verso un’arte che potrebbe cambiare la società e il mondo, se insegnata adeguatamente
Da anni, Riccardo Muti combatte una vera e propria battaglia affinché la musica sia eseguita, conosciuta e insegnata a chiunque. Il maestro napoletano non ha avuto parole dolci per il nostro Paese, culla del bel canto e patria di grandi operisti, lamentando che “la cultura va verso il basso” e che stiamo creando una generazione di disoccupati non solo sul piano lavorativo ma anche intellettuale. Muti parla spesso di “un passato che l’Italia deve difendere” e lo ribadisce in “Recondita armonia – Educare alla musica per educare alla vita“, scritto con Armando Torno (Rizzoli, 224 pp., 18,50 euro). Il libro è un vero e proprio manifesto, un atto d’amore esplicito e supremo verso un’arte che, se insegnata adeguatamente e con costanza, potrebbe cambiare la società e il mondo.
Il Maestro, nel volume, racconta alcune delle sue esperienze più significative, come quelle con l’Orchestra giovanile Cherubini e l’Italian Opera Academy, tracciando un percorso che è anche un invito a intraprendere una strada di salvezza collettiva. Questa strada, per Muti, si chiama educazione, specialmente quella musicale, che negli ultimi anni è stata trascurata o addirittura mal condotta. Tra le cause di questa situazione avvilente, l’idea diffusa che per amare la musica sia necessario saperla suonare. Ma giustamente Muti si chiede: “Forse riesce ad apprezzare Shakespeare solo chi scrive tragedie?”.
Nelle scuole italiane, osserva, si suona “il piffero” e si insegna il solfeggio, ma “quella è la negazione della musica… Quella non è musica”. Spesso si canta malamente il Va’ pensiero invece di insegnare ai bambini, fin dalla tenera età, l’ascolto e il canto corale. Nel libro, il musicista insiste sulle infinite possibilità che la musica – e in particolare l’orchestra – ha di forgiare una società capace di integrare le diversità, aprirsi all’ascolto e lavorare in sinergia. “Un’orchestra è l’immagine di una società civile, è fatta di un insieme di persone che non devono darsi fastidio a vicenda, ma raggiungere un obiettivo comune”. Qui si impara il rispetto per l’altro, per la partitura e per il suo autore, e si va oltre, vivendo un’esperienza che permette di conoscere qualcosa di sé e di altro da sé, trascendere, arrivare al divino e alle sue misteriose forze.
Nel volume, Muti critica dei colleghi direttori, accusandoli di aver “violentato e fatto scempio di alcune partiture”. Non risparmia nemmeno le “bacchette” emergenti, accusate di eccedere nella gestualità, distraendo e distorcendo il significato della musica che dirigono. Per evitare questo occorre ritornare a interrogarsi sulla volontà del compositore, sui personaggi in scena e le note che li accompagnano. Occorre porsi domande “sulla natura di quell’arte che accompagna la nostra esistenza” e Muti prova a dare risposte accorate, radicate profondamente dentro una vita spesa per la musica e con la musica. Una ricerca inesausta di senso, verità, un cammino ascetico che in questo volume trova una sorta di summa che sarebbe un peccato trascurare. Riccardo Muti continua a gridare che “il mondo sarà salvato dalla bellezza”. C’è ancora qualcuno interessato a sposare questo grido?