Lo scrittore francese raccontando la City ha descritto il cambiamento di varie epoche, scorgendo anche nei dettagli quelle piccole spie del mutamento che fanno da pietre miliari del cambio di stagione politico e sociale
Si dice, dopo la Brexit, che Parigi diventerà la nuova Londra, che ci sarà una fuga di banche e aziende dal Tamigi alla Senna. Ma basta leggere Paul Morand, che fu diplomatico nella capitale inglese dopo averla frequentata da studente squattrinato, per capire che esiste un’incompatibilità tra le due città, tra due nature e modi di vivere, e che ricostruire Londra, città fondata da “giganti trampolieri” non è facile. “Londra gronda di acqua, e Parigi di sangue”, “a Londra le cose sono belle a causa della gente, a Parigi nonostante la gente”. E, sempre sperando che queste differenze non si siano perse con la fine del Novecento, forse davvero a Londra si ritroveranno “le pecore al pascolo sulle rive del Tamigi senza fumo, come ai tempi dei Plantageneti”. O quello, scrive Morand, o l’invasione di stranieri.
Queste caustiche osservazioni, mescolate alle flâneries di Morand le possiamo leggere in Londra (264 pp., 28 euro), da poco uscito per Settecolori – casa editrice che regala sempre raffinatezze – tradotto da Leopoldo Carra. Un po’ di storia, un po’ di architettura, un po’ di giardini e di quartieri poveri, un bel po’ di sagace analisi politico-socio-culturale, il curiosissimo Morand usa il suo sguardo no bullshit per cercare di capire un paese che considera speciale anche solo perché è vissuto dall’unico popolo occidentale di veri pigri – “L’Inghilterra è guidata da due forze oscure e potenti: l’istinto di conservazione e il senso del minimo sforzo”, scrive. Tutti nella City vivono sognando il momento in cui potranno andare in campagna, i londinesi a differenza dei parigini sono “campagnoli condannati alla città”. Forse anche perché Londra è una città dark, città fumosa, dove “un alone di nebbia fa assomigliare il più pacifico abitante a Mister Hyde o al mastino di Baskerville”, e dove le differenze tra ricchi e poveri diventano occasione di gite nei quartieri più impresentabili, attraversando le “casette basse, color dell’uva passa nel plum pudding”.
Morand ha vissuto gli ultimi sprazzi di vita vittoriana e ricorda quando nel 1908, sognando di vestirsi dai sarti di Savile Row, si sente come “il protagonista di Proust, all’Opéra, che adora da lontano la duchessa di Guermantes” – e ricordiamolo, Morand ha conosciuto Proust – mentre vede nei palchi di Covent Garden la Londra che conta, una Londra abitata ancora da pochissimi stranieri, giusto qualche “attrice francese, qualche ragià con il turbante, qualche arciduca venuto per la caccia”. Paul Morand raccontando Londra racconta il cambiamento di varie epoche, vede anche nei dettagli quelle piccole spie del mutamento che fanno da pietre miliari del cambio di stagione politico e sociale. Il grande viaggiatore Paul Morand, instancabile osservatore, valuta ogni elemento per soppesare il modo in cui si evolve o deperisce un ambiente, o il rapporto tra l’uomo e le istituzioni, tra l’uomo e gli altri uomini. Come dice perfettamente, as usual, l’accademico (nel senso dell’Académie française) Maurizio Serra nella prefazione a Londra, Morand non è per nulla facile agguantarlo. Come Samuel Pepys però il francese – scrive Serra – è capace di un “calcolato ed elegante” “realismo senza sotterfugi”, cinico e “indifferente ai canoni morali attento solo a riprodurre ogni fibra, ogni momento nobile o triviale, financo osceno in cui si articola la vita”. Ci vorrebbe un libro come questo su ogni città del mondo.