Delle scuole che aderiscono, la schiacciante maggioranza è costituita da infanzia e primaria, mentre medie e superiori sono meno del 25 per cento: il dato rispecchia purtroppo la progressiva disaffezione alla lettura
È la settimana di #ioleggoperché, iniziativa meritoria (di là dall’hashtag per sembrare moderni) poiché finalizzata a incrementare il patrimonio bibliotecario delle scuole statali. Sapete già come funziona: su proposta ministeriale, ogni istituto può iscriversi al progetto, stringendo una convenzione con una libreria a scelta; i clienti possono allora comprare i libri che reputano opportuni e la libreria li consegna alla scuola destinataria. Si tratta di un raro caso di collaborazione fattiva fra istituzioni centrali, territorio, esercizi commerciali e privati cittadini; meritano un particolare elogio le librerie, che, nella selezione dei titoli e nella materiale preparazione degli scatoloni, sono sottoposte a uno sforzo aggiuntivo ragguardevole. Oltre all’hashtag, tuttavia, #ioleggoperché presenta alcuni aspetti che fanno riflettere, poiché rivelano automatismi preoccupanti sul rapporto della nostra nazione coi libri.
E non mi riferisco al fatto che i ragazzi dovrebbero essere persuasi alla lettura dalla campagna che fa entrare in campo i giocatori di serie A, lettori non particolarmente forti, con in mano Anna Karenina o Il ramo d’oro, come se volessero godersi qualche pagina quando la palla va in fallo laterale. Delle scuole che aderiscono a #ioleggoperché, la schiacciante maggioranza è costituita da infanzia e primaria, mentre medie e superiori sono meno del 25 per cento. Il dato rispecchia purtroppo la progressiva disaffezione alla lettura. Secondo le statistiche, infatti, in Italia leggono per lo più i bambini, un po’ meno i ragazzini, quasi per nulla gli adulti. Inoltre, #ioleggoperché ambisce a rimpolpare i cataloghi ormai desueti delle biblioteche scolastiche, sovente luoghi di grande desolazione, deserte o adibite a luogo di contenzione per gli studenti che non si avvalgono dell’ora di religione. Colpisce che lo stato ricorra al soccorso dei clienti delle librerie per mettere a disposizione degli studenti un po’ di libri nuovi: è come se stesse implicitamente affidandosi alla provvidenza e comunicando al grande pubblico che la lettura non costituisce davvero una parte della formazione giovanile su cui meriti investire del denaro. Meglio chiederlo ai passanti.