Se passeranno le domande dell’ex premier, oltre al ruolo del garante e la regola dei due mandati, si mette un argine alle autocandidature di chi vuole andare in Parlamento: dovrà aver fatto prima esperienza nei consigli comunali
Roma. Ricordate: “Non siamo un partito, non siamo una casta/ siamo cittadini, punto e basta/ ognuno vale uno, ognuno vale uno”. Era il ritornello della canzone (autori tali Supa & Dj Nais) che per anni ha accompagnato tutti gli eventi del M5s, anni che lo portarono fino al 33 per cento. Bene, dopo i quesiti presentati ieri dal movimento di Giuseppe Conte la canzoncina, di per sé non proprio da premio Tenco, può finire in cantina. Nelle domande che saranno sottoposte agli iscritti – di cui ancora non si conosce il numero esatto e che per essere approvate devono raggiungere il quorum – non c’è solo il “Grillicidio”, elemento fosforescente di questa battaglia tra il garante e l’ex premier che dura ormai da mesi. E nemmeno l’accantonamento, via regoletta, degli ultimi dissidenti interni come Virginia Raggi e Danilo Toninelli. Nel bene e nel male, se a Conte andranno in buca tutte le palle potrà dire di aver trasformato definitivamente il movimento in partito. Personale, gerarchizzato e con una selezione della classe dirigente. Le storie di chi per gioco, con un pugno di clic, si ritrovò dal nulla in Parlamento non si ripeteranno. Forse. Questa è un’angolatura di una faccenda certo più complessa. Di sicuro dopo il voto esisterà un prima e un dopo.
Colpisce dunque che per la prima volta venga messo un paletto interessante: “Chi propone la propria auto-candidatura deve aver frequentato alcuni corsi della Scuola di formazione”. E ancora: “Chi per la prima volta propone la propria auto-candidatura può accedere solo a candidature di livello comunale quale esperienza formativa necessaria per aspirare ad altre candidature (“cursus honorum”)”. Se queste regole fossero state valide nel 2018 gran parte dei ministri, sottosegretari e parlamentari sarebbero rimasti a casa. Un altro film, un’altra storia. Non per forza negativa. Si chiede poi di introdurre un contributo economico per chi vuole salire sulla giostra: il costo della tessera che esiste in tutti i partiti e che fa il paio con il 2 per mille a cui il M5s già da un paio di anni accede. La politica costa, insomma. Il movimento si fa partito a tutti gli effetti. In rilievo rimane la serie di quesiti che serviranno a chiudere per sempre con Beppe Grillo, il fondatore affondatore, il Garante non più garantito dalla creatura che plasmò con Gianroberto Casaleggio. Stanco di mediare, di essere sfottuto in pubblico dall’ex caro leader Beppe, Conte ha di fatto messo in votazione (ma dovrà raggiungere il quorum degli iscritti, sulle altre modifiche no) tutti i punti che al comico diventato politico sono da sempre stati sul gozzo. Il primo riguarda la figura del garante. Tre proposte in ballo, tutte abbastanza divertenti. La prima prevede la decapitazione: zac, addio Grillo. Da cui subordina la scelta su a chi affidare, in maniera ben diluita, quel ruolo: a nessuno, a un comitato di garanzia o un altro organismo. Nel caso invece che il fondatore dovesse farcela a sopravvivere al voto dei grillini, o meglio dei contiani, si chiede alla base se dovrà continuare a esercitare il suo ruolo insindacabile, se dovrà farlo a tempo determinato per quattro anni come un impiegato di un call center o se potrà rimanere tale “ma esclusivamente a titolo onorifico”, quindi gratis, senza poteri vincolanti ma solo consultivi, tipo vecchio nonno che dà i consigli. Visti i problemi con il numero degli iscritti e il quorum da raggiungere affinché il voto sia valido e non impugnabile da Grillo, Conte – che è stato un avvocato di primo lignaggio – ha inserito anche un’altra domanda non proprio elettrizzante ma centratissima: “Sei d’accordo a semplificare la procedura di modifica dello Statuto eliminando la facoltà del garante di chiedere la ripetizione della votazione, se del caso anche per una terza volta, attraverso l’abrogazione della lett. i) dell’art. 10 dello Statuto?”. In questa furia iconoclasta ben ponderata si chiede anche di rivedere gli organismi interni come il comitato di garanzia e il collegio dei probiviri. Dove siedono rispettivamente Raggi e Toninelli. Insomma Conte – pochette d’acciaio – mostra i canini, e vuole cambiare tutto. Compreso nome, simbolo e suo utilizzo: una decisione che, a seconda dell’esito di questa ordalia per amanti del genere, avrà ovvi strascichi legali con l’ennesima coda di carte bollate, primato indiscusso del M5s nella politica italiana. I cittadini che vergini potevano buttarsi nelle istituzioni ma solo per due mandati non faranno più manco questo perché come si sa in discussione, e in votazione, c’è il salto di quest’ultimo tabù. Un altro aspetto che segna la fine del grillismo, pronto a entrare nel normale partitismo. Sul fronte del limite dei mandati, cuore dell’ortodossia, si va verso una sostanziale abolizione, con una serie di possibilità che si articolano tra deroghe, considerazione di “solo quelli portati a termine” e aumento del tetto dagli attuali due a tre. Ciascuno dei big rimasti fuori dal Parlamento troverà l’abito con cui stare più comodo nelle regioni o magari nei consigli comunali delle grandi città. Sulla collocazione politica Conte chiede alle truppe: volete che diventiamo indipendenti progressisti, che stiamo stabilmente a sinistra o che andiamo da soli? Se vincesse quest’ultima ipotesi Conte ha già detto che cambierebbe lavoro. Così come Grillo, ancora in silenzio a subire gli eventi con la speranza che il quorum non si centri. Magre consolazioni.