Ci scrive l’ex ministro della Salute: “Il governo Meloni ci sta portando drammaticamente indietro rispetto alla stagione in cui io sono stato ministro”. La risposta di Luciano Capone
Al direttore – Ho letto con attenzione il pezzo del Foglio sui conti della spesa sanitaria nel nostro paese. Nel ricostruire i numeri della Nadef e le polemiche politiche di queste ore non si affronta il tema di fondo: quante risorse sono state effettivamente stanziate sul fondo sanitario negli ultimi anni? Mi sembra la domanda decisiva, quella che tocca da vicino la vita reale delle persone e misura anche il senso delle scelte politiche fatta dalle forze di governo. Scrive l’autore che non conta tanto la spesa tendenziale prevista nella Nadef, quanto i soldi reali poi stanziati in legge di bilancio. Bene, ma con questa premessa diventa fondamentale chiarire quali siano le risorse effettive impegnate. Cosa che purtroppo l’articolo citato non fa. Così il messaggio diventa assai fuorviante e finisce per portare confusione in un dibattito che invece deve essere chiaro e trasparente perché ha a che fare con quanto di più prezioso abbiamo nel nostro Paese: il Servizio Sanitario Nazionale.
Stiamo ai numeri: quando sono diventato ministro nel 2019 la spesa sanitaria ammontava a circa 115 miliardi. Quando ho lasciato l’incarico nel 2022 era arrivata a oltre 133. 18 miliardi in più (fonte Ragioneria dello stato “il monitoraggio della spesa sanitaria, rapporto n.9, Nadef 2022, versione integrata e rivista, ddl di bilancio 2023). Non era mai avvenuto prima che un salto così significativo in termini assoluti arrivasse in un arco temporale così ristretto. Per la prima volta la spesa sanitaria sul PIL superava il 7% e nel 2020 raggiungeva addirittura il 7,4%. Se non vogliamo guardare l’indicatore della spesa sanitaria sul PIL, che ovviamente risente del trend del prodotto interno lordo, utilizziamo pure l’indicatore più affidabile della spesa sanitaria procapite. Essa passa da 2.629 dollari per persona del 2019 a 3.255 dollari per persona del 2022. (Fonte rapporto Gimbe 5 settembre 2023). Anche in questo caso un salto così in termini assoluti non è mai avvenuto prima. Va inoltre ricordato che questi aumenti di spesa avvengono in un quadro a bassa inflazione. Oggi invece l’alta inflazione fa si che a pari spesa nominale corrisponda un taglio reale molto significativo delle prestazioni. Questa è la semplice e chiara verità. Fuori da ogni lettura strumentale. Negli anni tra il 2019 e il 2022 siamo riusciti, pur tra mille difficoltà, ad aumentare la spesa sanitaria nel Paese come mai era successo prima. Non vi è alcun dubbio che questo sia avvenuto anche perché durante l’emergenza la voce del ministro della salute, come quella di tutti i rappresentanti delle professioni sanitarie, non è mai stata così forte. Era davvero difficile dire no alle nostre richieste in anni così drammatici.
Ora la grande domanda è: fuori da quella stagione si torna alla sanità cenerentola o si continua il processo virtuoso di nuovi investimenti innescato tra il 2019 e il 2022? I primi segnali purtroppo non sono incoraggianti ed è legittimo che le forze politiche e sociali che hanno a cuore la sanità facciano sentire la propria voce. Mi auguro sinceramente che il governo Meloni riesca a replicare o almeno ad avvicinarsi ai risultati concreti di aumento della spesa sanitaria del 2019/22. Sarebbe molto importante, direi vitale per il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Il Ministro Schillaci ne è consapevole, come lo sono le regioni. Insieme hanno posto giustamente la necessità di maggiori risorse per il fondo sanitario nazionale. Li si ascolti sin dalla imminente legge di bilancio. Fuori da ogni polemica, questo è interesse del Paese. Da deputato di opposizione dico le stesse cose che dicevo da ministro. Servono più risorse. Ogni euro che si mette in sanità non è semplice spesa pubblica, ma il più grande investimento sulla qualità della vita delle persone.
Ps: questa è la replica che ho inviato circa un anno fa a un articolo del Foglio sui dati della spesa sanitaria. Quest’anno si fa ancora di più. Nel tentativo (non riuscito) di criticare la Schlein e le sue coraggiose proposte in difesa del Servizio Sanitario Nazionale si fa l’esercizio di proiettare i dati previsionali per il 2025 di una Nadef di tre anni prima proposta dal governo Draghi sui dati oggi disponibili del pil del 2025. Un esercizio alquanto fantasioso e purtroppo assai fuorviante. Ribadisco che l’unica cosa che conta per la vita reale delle persone è quante risorse si mettono ogni anno in rapporto al pil. E su questo purtroppo il governo Meloni ci sta portando drammaticamente indietro rispetto alla stagione in cui io sono stato ministro.
Roberto Speranza, ex ministro della Salute
Risponde Luciano Capone. Ringrazio l’ex ministro Speranza per la risposta. Quando dice che considerare la spesa tendenziale da qui a tre anni è un “esercizio alquanto fantasioso e purtroppo assai fuorviante” più che criticare me sta contestando la segretaria del suo partito, Elly Schlein, che fa esattamente questo esercizio. “Con questo governo si arriverà al minimo storico di spesa sanitaria sul pil – ha detto Schlein – addirittura più basso del 6%” nel 2027 (cioè fra tre anni). Nell’articolo ho semplicemente applicato il ragionamento di Schlein dicendo che “se si usa questo metro, il Pd non ne esce meglio”, perché la spesa tendenziale prevista dalla Nadef 2022 Draghi-Speranza a tre anni, cioè nel 2025, prevedeva non solo un calo della spesa in rapporto al pil ma addirittura in valore assoluto: da 134 miliardi nel 2022 a 129,5 nel 2025. Siamo quindi d’accordo che la posizione del Pd sul tema si basa su “un esercizio fantasioso e assai fuorviante”. Sul superamento del 7% di spesa sanitaria sul pil nel 2020, un esercizio di onestà dovrebbe essere quello di ricordare che è la conseguenza del crollo del pil del 9%, la più grande recessione del Dopoguerra. Rivendicarlo come un successo, invece come un dramma nazionale, è questo sì non solo fuorviante ma un capovolgimento della realtà.
Quanto, all’incremento in quel periodo della spesa sanitaria in valore assoluto, un ulteriore esercizio di onestà intellettuale dovrebbe far riconoscere che la gran parte dell’incremento era dovuto a spese straordinarie per la pandemia, che sono rientrate con la fine dell’emergenza. Non erano, cioè spese strutturali. Per questa ragione la spesa sanitaria che il suo governo ha lasciato era prevista in calo di 4 miliardi in valore assoluto, sotto i 130 miliardi. “Nel triennio 2023-2025, la spesa sanitaria è prevista decrescere a un tasso medio annuo dello 0,6 per cento; nel medesimo arco temporale il pil nominale crescerebbe in media del 3,8 per cento”, dice il Def del 2022. Questa è l’eredità lasciata al governo che è subentrato. La pandemia è stato il dramma che ha mostrato le carenze del nostro Ssn e anche l’occasione per rimetterlo a posto, con una riforma strutturale. C’erano il consenso nella società, nella politica e anche le risorse, sia per la sospensione del Patto di Stabilità sia per l’introduzione del Mes sanitario. Si è preferito investire nell’edilizia residenziale (220 miliardi, pari 11 punti di pil) per rifare il 4 per cento delle case di pochi fortunati. Si poteva fare un Superbonus per rifare acquistare macchinari sanitari e rifare gli ospedali, si è invece preferito rifare le seconde case al mare di persone benestanti. E’ stata una scelta politica, ampiamente e trasversalmente condivisa, che ora presenta il conto. Ma nessuno sembra volersene assumere la responsabilità.