Il termine, rigorosamente in maiuscolo, compare cinque volte nelle linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica diramate dal ministero dell’Istruzione. Il riflesso pavloviano dei docenti che le hanno ricevute
Un’indagine informale fra colleghi sparsi lungo lo Stivale mi ha confermato che due sono le reazioni, quando nei collegi docenti si incontra l’indicazione di “approfondire il concetto di Patria”: l’ondata di vittimismo o lo scoppio di risa. Le radici di tali reazioni affondano nelle nuove “Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica”, diramate dal ministero dell’Istruzione per l’anno scolastico in corso (ben illustrate sul Foglio da Tommaso Tuppini), in cui il termine “Patria” appare cinque volte, sempre con l’iniziale maiuscola.
Una ricognizione ecdotica consente di dedurne che la Patria è il modo in cui viene “comunemente definita” la comunità nazionale, consistente nel “nascere, crescere e convivere in un paese chiamato Italia”; per mettere le mani avanti, il documento specifica che il concetto “è espressamente richiamato e valorizzato dalla Costituzione”. Perciò agli alunni delle elementari va fatto “conoscere il significato di Patria” e a quelli delle medie “approfondire il significato di Patria e le relative fonti costituzionali”, così come a quelli delle superiori, che devono anche “comprenderne le relazioni con i concetti di doveri e responsabilità”.
Non sembra esserci nulla di preoccupante, nessun allarme dittatura; tanto più che i liceali annacquano la Patria in una competenza relativa all’adozione di “comportamenti fondati sul rispetto verso ogni persona”, oltre alle solite buzzword come legalità, partecipazione, solidarietà, il tutto ovviamente condito dalla “conoscenza della Carta costituzionale, della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea e della Dichiarazione internazionale dei Diritti Umani”. In questo profluvio di maiuscole, la Patria quasi arrossisce, nascosta in soltanto una delle quattro possibili competenze afferenti al nucleo concettuale relativo alla Costituzione, cui se ne affiancano uno dedicato a sviluppo economico e sostenibilità e uno alla cittadinanza digitale. Perché dunque i docenti, a causa di questa paroletta breve, fanno le vittime o ridono?
La prima evenienza si comprende risalendo alla categoria delle “professoresse democratiche”, resa immortale da Edmondo Berselli con femminile sovraesteso e portata unisex. Si tratta di docenti che scorgono nella scuola la contraddizione fra il suo essere istituzione strutturata, potenzialmente vessatoria, e la sua pretesa di modellare l’animo di generazioni più libere e felici; si incuneano perciò in quest’intercapedine proponendosi alle classi come ribelli nei confronti della scuola-istituzione e garanti del progresso della scuola-utopia (gli alunni, intanto, sbadigliano, smanettano sullo smartphone, chiedono di andare in bagno e stilano turni per le interrogazioni programmate). Il termine “Patria” causa dunque un riflesso pavloviano, che trasforma la scuola in lager delle coscienze e fa dimenticare come la storia del termine si intrecci a molti dei capisaldi su cui sono state formate generazioni di allievi: il Risorgimento e la Resistenza. Accade addirittura che questa tipologia di docente prenda la parola durante la riunione per annunciare che ritorcerà il termine Patria contro le intenzioni del governo, usandolo come grimaldello per parlare dei valori della Costituzione; salvo poi mettere il muso quando il solito scettico blu fa notare che è proprio quanto scritto nelle famose linee guida.
Meno comprensibile è la risata. Certo, il termine Patria suona roboante e comico, nell’epoca dell’individualismo spinto e della totale perdita di innocenza riguardo alla politica; ciò ingenera una divertita perplessità verso l’ipotesi che delle lezioni a scuola possano insegnare valori che formino i futuri cittadini. L’istituzione di un catechismo civile era tuttavia l’ambizione con cui l’insegnamento dell’Educazione civica era stato introdotto, ai tempi del delirio giacobino sotto i governi a Cinque stelle, e le nuove linee guida non fanno che avanzare nel solco. Forse bisognava mettersi a ridere qualche anno fa; adesso è troppo tardi.