L’importanza di vincere in Umbria: perché la sfida Meloni-Schlein va oltre le regionali

Alla premier serve per consolidare la narrazione sulla lunga luna di miele con gli elettori, alla segretaria del Pd a resuscitare un’alleanza che non decolla

Per una sarebbe uno “scacciapensieri”. Vincere l’Umbria per Giorgia Meloni significherebbe confermare la lunga luna di miele elettorale, sfatare il pronostico di uno sonoro ko di 3-0 di queste regionali (con i successi liguri e umbri la sconfitta dell’Emilia Romagna il risultato del centrodestra sarebbe invece 2-1: lo status quo). Per l’altra, Elly Schlein, il voto di domenica e lunedì nel cuore verde d’Italia vuole dire proporre un’idea di coalizione vincente. Di un’alleanza, con il Pd al centro, ma con il resto dei partner che funzionano nelle urne. Viceversa, perdere in Umbria per la segretaria del Pd sarebbe la constatazione di un’amara verità: funziona come leader di un partito movimentista che si sa mobilitare, giusto, ma non come federatrice. Per il ciclo: Palazzo Chigi solo con il binocolo. Ieri Meloni e Schlein hanno fatto tappa a Perugia per sostenere le rispettive candidate (l’uscente Donatella Tesei e la Stefania Proietti). La prima, con gli altri leader, all’auditorium San Francesco; la seconda, da sola, al teatro Brecht. Divise da 6,8 chilometri e da molto altro.



Siamo dunque alle solite: Giorgia ed Elly sembrano reggersi a vicenda, l’una speculare all’altra, con la premier che l’ha legittimata come avversaria in tempi non sospetti (un po’ come fece con lei Enrico Letta durante la campagna elettorale delle politiche). Si cercano, si sfuggono, si attaccano. E’ accaduto anche ieri a Perugia mentre parlavano quasi in contemporanea. “Schlein risponda agli italiani sulla posizione del Pd a proposito della nomina di Fitto come vicepresidente della commissione”. “Meloni vuole eliminare 6 mila insegnanti e 2 mila amministrativi, vuol dire smantellare la scuola pubblica. Lo hanno già fatto con il dimensionamento scolastico”. C’è chi corre e chi rincorre: la leader di Fratelli d’Italia punta a conquistare, da quando governa, la dodicesima elezione regionale su tredici andate al voto. La leader del Pd, dopo il buon risultato delle europee, spera di ripetere fra Perugia e l’Umbria un’altra Sardegna, vero passo falso del centrodestra da due anni a questa parte. Il problema per la segretaria è il contorno che poi si ripercuote sul resto.



Schlein in privato, anche dopo le elezioni in Liguria, ha alzato le mani e si è autoassolta scaricando l’insuccesso su Giuseppe Conte: “Abbiamo preso il 28 per cento, cosa potevamo fare di più? Arrivare al 50? Il problema, mi sembra evidente, non siamo noi”, è il succo del ragionamento della segretaria. La quale finge di non sentire il rumore di sottofondo che gira nel suo partito, i malumori, le mezze frasi, i tentativi, finora poco pregnanti, di organizzare una minoranza battagliera in grado di cavalcare le difficoltà arrivando a un piano B. Non a caso a seconda dei risultati di domenica e lunedì, un pezzo di Pd, non proprio di rito schleniano, è pronto a chiedere una direzione nazionale. Una piccola prova di processo alla segretaria. Ecco perché la vittoria di Proietti, sindaca di Assisi non proprio sovrapponibile per le battaglie sui diritti con la segretaria, ha un’importanza non banale. Allo stesso tempo, a destra, c’è sempre l’iper attivismo di Matteo Salvini che per l’Umbria si sta spendendo come un ossesso. L’agenda del vicepremier della Lega, pendolino della malandata superstrada E45, oggi prevede il seguente menù: ore 9 Narni, ore 11 Penne in Teverina, ore 12 Giove, ore 15,15 Orvieto, ore 16,30 Porano.

Meglio però ritornare ad accendere un faro sulle due protagoniste. Se Meloni fa notare a Schlein il silenzio ambiguo sullo stallo di Bruxelles nei confronti dell’italiano Fitto, la segretaria del Pd si fa forte con il comunicato della Consulta sull’Autonomia differenziata, pallino della Lega sopportato e alla fine supportato, con discreti doloretti, da Fratelli d’Italia. “Salvini regali a Meloni la Costituzione così la leggeranno insieme”. Alla premier serve uno scacciapensieri, si diceva. Per non pensare ai giochi dei veti europei e anche alla gestione dell’amico Elon Musk con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Meloni dal palco urla che la sua resistenza, la sua pazienza, la sua capacità di lavoro non ha limiti. Dunque non molla finché, aggiunge, il consenso sarà dalla sua parte. Capito perché anche la piccola Umbria fa parte di questa collana? Meloni anche da qui entra nella carne viva del campo largo e ha gioco facile a dire che nel centrosinistra quasi “si vergognano a farsi vedere insieme”.

Nell’altro campo è festa per le parole della Consulta sull’Autonomia, tema che con sapienza non viene affrontato da nessuno del centrodestra, nemmeno da Matteo Salvini. Anche perché adesso i quesiti referendari rischiano di saltare. “A una prima impressione molto provvisoria i punti più contestati sono stati o direttamente colpiti dalla Corte o indirettamente, in via interpretativa. Si potrebbe quindi pensare che i quesiti siano superati e che non si debba votare su di essi”, dice il costituzionalista ed ex parlamentare del Pd Stefano Ceccanti. Anche questo argomento entra nella battaglia umbra, di traverso, ma c’è.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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