Perché il Mef ora scommette su un matrimonio tra Mps e Bpm

Secondo fonti finanziarie, l’esecutivo, in particolare la Lega, sarebbe favorevole a una fusione tra le due banche per poter poi scegliere se restare con una quota di minoranza oppure uscire definitivamente dal capitale

Banco Bpm potrebbe acquisire Mps in futuro? E’ la domanda che tutti si fanno il giorno – e la risposta, per il Mef, è affermativa, secondo una fonte qualificata del governo – dopo che nel capitale di Siena è entrato un nocciolo duro di grandi azionisti comprando azioni direttamente dal Mef. Banco Bpm, Anima, Caltagirone e la Delfin della famiglia Del Vecchio, che complessivamente hanno acquisito il 15 per cento, rappresentano quel nucleo di capitale stabile che da tempo si cercava per dare un futuro al Monte. Sono lontani i tempi in cui a Palazzo Chigi si tenevano riunioni estenuanti per persuadere Unicredit a comprarsi Mps a qualsiasi costo. Da allora la musica è cambiata, grazie a un processo di risanamento del Monte andato oltre ogni aspettativa e alla ricapitalizzazione funzionale impostata dal governo Draghi nel 2021-2022 che ha aperto la strada per la rinascita.

Si deve dire, però, che il governo Meloni ha seguito con disciplina quell’impostazione “fino a trasformare lo sforzo di privatizzazione in un progetto industriale, che punta a formare il terzo polo bancario del paese, dopo Intesa e Unicredit”, come ha osservato un’analisi di Bofa. Secondo fonti finanziarie, l’opzione preferita dall’esecutivo, in particolare dalla Lega, sarebbe una fusione tra Banco Bpm e Mps per poter poi scegliere se restare con una quota di minoranza oppure uscire definitivamente dal capitale. Ed è la medesima prospettiva su cui sta scommettendo la Borsa, che ieri ha premiato sia Mps con un rialzo di circa il 12 per cento sia Banco Bpm con più 3 per cento. Difficile dire se il progetto ha possibilità di concretizzarsi perché in gioco ci sono molteplici fattori, compresa la volontà di Bpm di proseguire la sua strategia “stand alone” e lo sforzo finanziario che sarebbe necessario in una fase di tassi calanti destinata a incidere sulla redditività delle banche, ma la novità sul piano politico è che la regia del Mef questa volta ha funzionato. Banco Bpm, che ha sempre mostrato disinteresse per la privatizzazione di Montepaschi, si è dunque deciso ad entrare con il 5 per cento facendo leva sulle sinergie che si potrebbero creare nella distribuzione di prodotti finanziari grazie ad Anima, società di gestione del risparmio che punta ad acquisire al 100 per cento attraverso un’opa. In più, sommando la partecipazione di Anima, la banca milanese arriverà a detenere il 9 per cento di Siena diventando il secondo azionista dopo il Mef (11,7 per cento).

Comprensibile che, nonostante Bpm assicuri di non avere intenzione di varcare la soglia del 10 per cento, siano in molti a ritenere che in futuro una fusione tra i due istituti non si possa escludere. Ma la logica industriale delle aggregazioni bancarie si deve sempre misurare con lo sforzo finanziario necessario. Finora Bpm è riuscita a muoversi sullo scacchiere del risiko limitando l’erosione di capitale, se dovesse lanciarsi in un progetto più complesso dovrebbe fare uno sforzo molto più grande e non privo di rischi. Ma si vedrà perché oggi Mps ha un nucleo stabile di grandi soci privati di cui fanno parte gruppi italiani di primo piano come Caltagirone e la famiglia Del Vecchio, che in passato hanno mostrato di vedere di buon occhio la creazione di campioni nazionali nel settore creditizio e finanziario, come durante la battaglia intrapresa insieme per il controllo di Generali-Mediobanca. Congelata quella partita, l’attenzione si è spostata sul dossier Mps-Bpm-Anima con la stessa logica. Mossa che, paradossalmente, produce come effetto di far apparire Mediobanca poco attiva nei giochi del consolidamento.

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