Idee dal “Salone della giustizia”. Prosperetti, Miele e Cassano sostengono la possibilità e anzi l’opportunità, nei casi di incertezza dell’interpretazione della legge da parte delle corti di grado inferiore, di ricorrere alle superiori, e supreme, preventivamente
Nel cuore dell’altra notte tenevo accesa come sempre radio radicale, che mi conciliasse il sonno o mi compensasse dell’insonnia, e la mia attenzione è stata eccitata dalla voce anticamente amica di Paolo Liguori. Interpellava con una smagliante disinvoltura, una dietro l’altra, le più alte cariche della magistratura italiana, nell’ambito di una manifestazione annuale intitolata, come ho appreso, “Salone della giustizia”.
Profano come sono, se non come paziente, ero mosso solo da una curiosità umana, per così dire. Strada facendo sono stato colpito da un tema che prendeva un peso centrale nei dialoghi e, benché dichiarasse di svolgersi nell’astrattezza del concetto giuridico, implicava evidentemente la questione sanguinante della deportazione in Albania di migranti colpevoli di migrare, combinazione fantastica di insensatezza e di cattiveria. Dunque la relazione fra diritto europeo e nazionale. A colpirmi era la constatazione che tutti gli interlocutori, il vicepresidente della Corte costituzionale, Giulio Prosperetti, il presidente aggiunto della Corte dei conti, Tommaso Miele, e la presidente della Corte di cassazione, Margherita Cassano, sostenevano la possibilità e anzi l’opportunità, nei casi di incertezza dell’interpretazione della legge da parte delle corti di grado inferiore – cioè, penso, precedenti – di ricorrere alle superiori, e supreme, preventivamente. Procedura che si chiama “rinvio pregiudiziale”, e che lunedì è stata adottata dai giudici romani rinviando alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Ho ascoltato affascinato le rispettive argomentazioni, e specialmente quelle della presidente Cassano, che sembravano fatte per uno scolaro tardivo e indurito come me. Cassano ha spiegato come l’interpretazione e l’applicazione della legge da parte del giudice italiano si confronti oggi con i princìpi stabiliti da convenzioni e corti sovranazionali: il giudice nazionale è anche un giudice europeo. Ed è sollecitato ad adeguare tempestivamente l’ordinamento ai princìpi cogenti che vengono dall’Europa. Parla di una osmosi tra le corti, e di un dialogo continuo fra giudici di primo e secondo grado e giudici di Cassazione. Dal 2022 è consentito al giudice civile di primo grado di affrontare una questione inedita rivolgendosi preventivamente alla Cassazione. Oggi al giudice si richiede di non essere più una monade, in nome del decisivo rispetto per i diritti delle persone.
In generale, le spiegazioni degli alti magistrati avevano un’aria di accogliente cordialità. Sottolineando come non esista una differenza di valore ma una differenza di competenze e funzioni fra un grado e l’altro di giudizio, si mostravano tutti pronti alla consultazione preventiva, un modo di assicurare, e magari coprire le spalle, a giudici incerti. In effetti, come ho visto poi, la sessione si intitolava: “Europa: dialogo tra le corti di giustizia”. Dichiarando che le varie corti non sono “monadi”, sembrava suggerire una fluidità reciproca fra i vari gradi.
Ero sul punto di rallegrarmene, quando mi è venuto un dubbio. Forse era un maligno ricordo di scuola, quando una vertenza insorta in classe si trasferiva minacciosamente dal vicepreside. Il dubbio riguarda l’abitudine a pensare che l’ordine giudiziario intervenga per definizione a giudicare e sanzionare il fatto compiuto, e non a prevenirlo, e che la consultazione preventiva sia a suo modo una riduzione di autonomia del giudizio “inferiore”. Immagino una moltiplicazione di “rinvii pregiudiziali” (che già, mi sembra di aver capito, sono frequenti) che si trasformino in altrettanti giudizi preliminari precedenti il giudizio di primo grado. Non so se preferire questo paesaggio malleabile a quello delle monadi – la camera chiusa impenetrabile e indifferente al mondo intero – fiat iustitia et pereat mundus, sia fatta giustizia, e vada a farsi fottere il mondo. Per esempio, il rinvio pregiudiziale del tribunale romano alla Corte Ue è una dimostrazione di buona volontà e di apertura alla comprensione fra magistratura e, non “la politica”, ma l’esecutivo di destra. Ma è anche una rinuncia alla certezza della propria buona ragione nell’interpretazione della legge (sulla quale già fra poco si sarebbe pronunciata la Cassazione). Poi mi sono detto che il mio dubbio è semplicemente infondato e malinteso, e che è un sintomo ennesimo di ignoranza, diffidenza e pessimismo. Non me le toglie nessuno.