La recensione del libro di Dipo Faloyin, Altrecose, 472 pp., 22 euro
“Se tutto quello che so sull’Africa si basasse sulle immagini popolari, anch’io penserei che l’Africa sia un posto di paesaggi bellissimi, animali bellissimi e persone incomprensibili, che combattono guerre insensate, muoiono di povertà e Aids, e sono incapaci di prendere parola”.
Questa considerazione collocata in esergo al volume, della narratrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie presenta l’indubbio pregio di cogliere nel segno: noi occidentali conosciamo davvero poco il continente africano, crediamo forse di saperne qualcosa ma abbiamo sovente la tendenza a ricorrere ad alcune superficiali e sbrigative semplificazioni, a triti stereotipi, a miti duri a morire. In altre parole, quando pensiamo all’Africa ci vengono in mente povertà, conflitti, corruzione, dipendenza dall’aiuto altrui oppure un parco safari, pieno di tigri e leoni, popolato da guerrieri che, armati di lancia, vanno a caccia di selvaggina. Passiamo, insomma, da un estremo all’altro.
Ben consapevole di tutto ciò il giornalista britannico – a sua volta di origine nigeriana – Dipo Faloyin ha elaborato questo saggio per mettere in rilievo come l’Africa sia molto altro, costituisca una realtà estremamente articolata e, visto che comprende cinquantaquattro nazioni, vi si parlano oltre duemila lingue e conta quasi un miliardo e mezzo di abitanti, non si limiti a essere un unico paese. In questo modo egli offre al lettore qualche strumento che gli consentirà di conoscerne un po’ meglio gli innumerevoli contesti e situazioni, le infinite sfumature e peculiarità.
Spaziando fra i temi più vari – dalla quotidianità di Lagos alla discussione sulla miglior ricetta del riso jollof, dalle serie tv che fanno furore alla Coppa delle nazioni africane fino al tipico spiedino nigeriano di carne grigliata – ed esaminando la problematica eredità lasciata dal passato coloniale, l’autore prende ironicamente di mira la superficialità dell’occidente, che getta il proprio sguardo sull’Africa senza tenere conto delle enormi differenze esistenti – culturali, sociali, economiche – né delle condizioni di ciascun paese.
Tra documentate digressioni di carattere storico e vividi racconti personali, mediante brevi paragrafi che conferiscono alla sua analisi un ritmo piuttosto rapido, grazie alla scorrevolezza della prosa e alla lucidità dell’indagine, Faloyin ci mostra come l’Africa sia “un ricco mosaico di esperienze, di comunità e storie diverse, non un monolite compatto di destini predeterminati”. Un insieme di tante voci, di quotidianità vissute secondo ritmi e modi propri, di specifiche mentalità e sensibilità, di bussole morali che spesso non puntano affatto nella stessa direzione. (Enrico Paventi)
L’Africa non è un paese
Dipo Faloyin
Altrecose, 472 pp., 22 euro