L’area Bonaccini si riunisce a fine novembre, cresce il malcontento, si attende l’Umbria, contestata la scelta di non votare Fitto. Nel partito si pensa al dopo e si guarda all’ex sindaco di Bergamo
Insegue i fascisti a Bologna ma perde i compagni di strada. Se il Pd cade in Umbria, Elly Schlein quali alibi userà: il partito mi ha remato contro? Le correnti mi impediscono di lavorare? O dirà come in Liguria: e però, siamo il primo partito? Scambia il silenzio per mandato pieno, confonde gli esperimenti di Taruffi, il suo Fazzolari, per fine strategia. I riformisti, il 30 novembre si riuniranno, a Roma, e diranno che la loro linea è un’altra, i sindaci del nord le sono ostili, il sud è con Vincenzo De Luca. Non votare Fitto è ritenuto il miglior modo per risultare in Italia ancora più antipatici. Si prepara già l’alternativa, l’uscita di sicurezza: Giorgio Gori, il segretario Pil e samba.
Una delle frasi amate da Schlein è “sono testardamente unitaria”, l’altra è: “Mi occupo di Meloni, non bisogna picchiare l’opposizione”. Dovrebbe fare attenzione a chi la critica senza mettere i piedi sul tavolo, invece dei soffietti di chi la adula (ultimamente, i migliori portano la fede a destra) che le dicono dietro: “Schlein? Con lei dieci anni Meloni”. Nessun segretario, né Veltroni, né Renzi, né Zingaretti ha mai avuto un partito così supino. Nessun segretario ha mai avuto il rivale interno, in questo caso Bonaccini, accomodante, nessuna corrente si era disarmata per il bene del Pd, del suo segretario. Quanto durerà? Il Pd, che non la pensa come lei, dice: “Schlein dovrebbe riflettere sui silenzi”. Prima delle europee, la sua sbornia, per carità, meritata, la sinistra di Andrea Orlando le aveva chiesto una conferenza organizzativa del Pd. Diciamolo in lingua popolare: vogliono sapere se Schlein ha intenzione di ballare sempre sui carri “Maracaibo” (“mare forza nove/fuggire sì ma dove/za’, za’ ”) o parlare di partito, di argomenti noiosi, come Pnrr, di enti locali, sindaci? In Liguria, Orlando ha fatto da “cavia” e ha perso, ma ora ci sono le elezioni comunali a Genova e manca il candidato sindaco. Cosa aspetta? Schlein ha chiesto a Orlando di restare a Roma, deputato, ma gli ha anche chiesto di cercare un candidato per Genova. L’ultima volta che bisognava trovare un’intesa con Giuseppe Conte, e Paola Taverna, il suo soprano, chiudere le liste con Renzi, in Liguria, è finita con la vittoria di Bucci. Testardamente unitaria, lei, o facilmente arrendevoli i suoi? Non sono forse anche loro, i suoi, piccoli sottosegretari con il sopracciò? Si deve avere l’onestà di scrivere che il metodo Fazzolari è ormai lo spirito del tempo anche a sinistra, che anche Schlein ha il suo genio, il colonnello con le guance rosse, il tarchiato tutto fumo. Si chiama Igor Taruffi, è il responsabile organizzativo del Pd, ed è il “me ne occupo io”. Se il successo delle europee delle liste è suo, di Taruffi, il Pd ora gli chiede conto del fallimento in Basilicata, della Liguria e del caos Campania, come del caos Anci, dove due sindaci del Pd, Lo Russo di Torino e Manfredi, di Napoli, stanno duellando. Si deve anche scrivere che ieri il candidato alla Corte costituzionale di Schlein, è già andato alla Corte, ma in veste di avvocato. E’ Andrea Pertici e difende le ragioni della Regione Toscana come Marini, il candidato di Meloni, difende le ragioni del premierato. 1-1 palla ai parlamentari. Chi oggi tace, chi nel Pd si rifugia nel silenzio, attende solo il momento propizio. Il 30 novembre all’Hotel D’Azeglio, a Roma, si riunisce il Pd che al congresso ha sostenuto Stefano Bonaccini, il Pd dei sindaci, il Pd che in futuro farà con o senza Bonaccini. Antonio Decaro si candiderà in Puglia, al posto di Emiliano, che da satanasso si è consegnato a Schlein (lui al contrario di De Luca non prova l’avventura del terzo mandato ma negozierà qualche carica). Se non sarà Decaro, se non sarà Nardella, un altro lo troveranno. Il Pd, lo spiegava una sera Giuseppe Conte, “è un partito dove basta una riunione, bastano cinque persone, per cambiare un segretario”. Si sta già immaginando un Pd a guida Gori, ex sindaco di Bergamo, riformista, del nord, come Giuseppe Sala, vicepresidente della Commisione Itre, industria. E’ lui che, in un tweet, ha smascherato Salvini su Bologna, pubblicando un vecchio articolo, la cronaca del giovane Salvini che tifava Leoncavallo, e ragazzacci, quelli che oggi chiama “zecche”. E’ Gori, insieme a Sala, il riferimento di un Pd che vuole la carica dell’Anci, per il sindaco di Torino, Lo Russo, una carica che Schlein ha maneggiato come una tessera Arci. E a proposito di segreteria perfino Furfaro, il suo Pajetta, è contrariato dalle poche attenzioni che la segretaria gli rivolge. La scommessa di Schlein è che il centrodestra si frantumi, che lei, in quanto esponente del “primo partito”, e ci tiene sempre a ricordarlo, finisca per essere la naturale candidata premier. Dispiace deluderla, ma con Conte e Meloni non funziona così. Conte, e staremo a vedere, va per la sua strada, e potrebbe perfino infischiarsene e votare Simona Agnes, presidente della Rai. Gli stati generali li ha avuti, agli italiani non importa nulla di Tele Meloni ma apprezzano De Martino. Che Salvini o Meloni, e Tajani mandino tutta all’aria è un’allucinazione che può provare chi ha ballato tutta la sera con Zan, letto Camus a voce alta con Landini. Indossare l’eskimo a Bruxelles, rifiutarsi di votare Fitto, dopo che Meloni vota von der Leyen e supera Salvini, rischia di passare davvero per un gesto da antitaliani, e vincere in Emilia-Romagna non fa classifica. A Schlein non piace l’olio di ricino, ma al partito comincia a non piacere il Pd guacamole, il partito dell’aperitivo, menù fisso: bollicine e salario minimo.