La guerra dei riconoscimenti militari tra propaganda politica e leggi. Il caso Nassiriya

Tre proposte di leggi per conferire le medaglia d’oro alle vittime dell’attentato di 21 anni fa, ma i regolamenti dicono altro. Il pressing del Colle e dello Stato maggiore per trovare una soluzione

Da una parte le famiglie dei 19 italiani che 21 anni fa rimasero uccisi nell’attentato della strage di Nassiriya, dall’altra il rigido rispetto delle regole che compete allo stato Maggiore della Difesa e al Quirinale. In mezzo la politica che cerca con tre disegni di legge uguali e quasi sovrapponibili di conferire alle famiglie dei militari e civili che non ci sono più la medaglia d’oro al valore militare o alla memoria. Le proposte portano la firma dei parlamentari Carolina Varchi (Fratelli d’Italia), Domenico Furgiuele (Lega) e Pino Bicchielli (Noi moderati). Il conferimento delle decorazioni avviene di norma con decreto del presidente della Repubblica su proposta del ministero della Difesa. Secondo la legge del 15 marzo 2010 le medaglie vengono assegnate per esaltare gli atti di eroismo militare. Detta così può sembrare una formula vaga e interpretabile.

Ecco perché per entrare nella natura di questo dibattito che va avanti da ormai troppo tempo, con accuse e titoli di giornali, occorre leggere l’articolo 1412.


Ovvero: “Le decorazioni al valor militare sono concesse a coloro i quali, per compiere un atto di ardimento che avrebbe potuto omettersi senza mancare al dovere e all’onore, hanno affrontato scientemente, con insigne coraggio e con felice iniziativa, un grave e manifesto rischio personale in imprese belliche. La concessione di dette decorazioni ha luogo solo se l’atto compiuto è tale da poter costituire, sotto ogni aspetto, un esempio degno di essere imitato”. Anche l’articolo seguente, il 1414, spiega perché le richieste dei famigliari dei caduti a Nassiriya siano state respinte: “La perdita della vita può essere la dimostrazione più evidente della gravità del rischio; tuttavia essa non può, da sola, costituire titolo a una decorazione al valor militare ne’ indurre a una supervalutazione dell’impresa compiuta, quale risulta dal complesso di tutti gli altri elementi”.

La casistica delle concessioni è ferrea. E ieri questa guerra del riconoscimento nel giorno dell’anniversario di Nassiriya, è tornata a far capolino.


Le richieste delle famiglie delle vittime morte in Iraq nel 2003 si perpetuano ogni anno, con motivazioni e paragoni con altri casi per i quali invece non ci sono stati dinieghi. “Perché a loro sì e a noi no?”. Sullo sfondo c’è una questione economica da non strumentalizzare legata comunque alla possibilità di accedere alle pensioni di reversibilità in caso di riconoscimento.

La faccenda è spinosa perché affonda nel dolore di chi è rimasto, da una parte; e si presta anche a essere cavalcata politicamente. Soprattutto a destra.

I problemi sono i criteri che portano dunque alla decisione finale. Ecco perché su input del Colle si sta cercando, evitando scontri e ulteriori polemiche, di regolamentare questa foresta burocratica.

Nino Minardo, presidente della Commissione Difesa della Camera, sta provando a costruire un’unica iniziativa per “dare un degno riconoscimento a tutti i 176 militari italiani che hanno perso la vita per la stabilizzazione delle aree di crisi e nel contrasto al terrorismo, a partire dal 1950 durante la missione Onu in Eritrea fino al 2014”.

Al gruppo ristretto di lavoro ha partecipato anche Gianfranco Paglia, ex parlamentare e medaglia d’oro al valore militare e consigliere del ministro Guido Crosetto (perse l’uso delle gambe a Mogadiscio nel 1993). Si pensa per esempio alla creazione di una onorificenza ex novo, senza intervenire sulla legge quadro che regola l’istituto delle assegnazioni. Il comitato Il Comitato ristretto della Commissione Difesa ha audito nei giorni scorsi anche il generale Rosario Aiosa, presidente del gruppo delle medaglie d’oro al valor militare d’Italia, nell’ambito dell’approfondimento sulle varie proposte in esame sui caduti nelle missioni internazionali. Anche in quel caso si è cercato di fare ordine, senza creare attese o peggio ancora scontri frontali con le associazioni delle famiglie dei caduti. Soprattutto quelli di Nassiriya. Che da anni portano avanti la loro battaglia, tra casistica e burocrazia, con esempi come quello dei 13 aviatori massacrati nell’eccidio di Kindu del 1961 o la storia di Fabrizio Quattrocchi, il contractor ucciso in Iraq. Storie diverse rispetto a quelle dell’attentato di 21 anni fa.

La commissione, sperando che non sia come i gruppi di lavoro di prodiana memoria, si è data tempi stretti per venire a capo di questa situazione. Ci sono le leggi, il dolore delle famiglie e gli interessi della propaganda politica. La sfida è non scontentare nessuno, una missione ardua in un “teatro di guerra” molto incidentato come quello del Parlamento.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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