La caccia all’ebreo di Amsterdam e un anno di antisemitismo

Tifosi israeliani del Maccabi Tel Aviv sono stati aggrediti, inseguiti e pestati da una folla al grido di “Gaza”. “Da ebreo ho lasciato Amsterdam per Israele”. Parlano gli ebrei olandesi

“Ricorda il 7 ottobre”, ha detto il presidente israeliano Isaac Herzog, mentre di “vile attacco antisemita” ha parlato Ursula von Der Leyen. Che la situazione fosse drammatica lo si è capito quando il rabbinato israeliano ha autorizzato la El Al a volare su Amsterdam durante Shabbath (i voli regolari sono sospesi a causa della guerra) per riportare a casa gli israeliani. “Provo vergogna per quanto è successo”, ha detto il primo ministro olandese Dirk Schoof. “Abbiamo fallito con gli ebrei durante la Seconda guerra mondiale e ieri sera abbiamo fallito ancora”: così il re Guglielmo Alessandro. “Domani, 86 anni fa, è stata la Notte dei cristalli e quella notte è tornata”, ha detto il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Nella notte fra giovedì e venerdì si è scatenata la caccia all’ebreo nella città di Anne Frank e Baruch Spinoza. Tifosi israeliani del Maccabi Tel Aviv sono stati aggrediti, inseguiti e pestati da una folla al grido di “Gaza”. Una lunga notte di orrore e panico. Israele ha mandato all’Aia anche il ministro degli Esteri, Gideon Saar.

L’inviata americana contro l’antisemitismo, la famosa storica della Shoah Deborah Lipstadt, si è detta “inorridita dagli attacchi ad Amsterdam che, ironia tragica della storia, avvengono a due giorni dall’anniversario della Reichspogromnacht del 1938, quando i pogrom contro gli ebrei guidati dai nazisti scoppiarono in tutto il Reich tedesco”. Le autorità olandesi hanno ordinato ai cittadini israeliani di evitare di uscire in strada e di nascondere i simboli religiosi. Video mostrano israeliani a terra che implorano. Uno offre soldi agli aggressori. Un altro si butta nel canale per scappare. Uno con la kippah è aggredito da un branco che gli chiede da dove viene. Un altro giura di “non essere ebreo”. Un ucraino scambiato per israeliano è costretto a gridare “Free Palestine”. Centinaia gli assediati negli hotel, alle cui porte si sono presentati gli aggressori. Il Consiglio per la sicurezza nazionale di Gerusalemme ha invitato gli israeliani a non assistere alla partita del Maccabi Tel Aviv ieri a Bologna.

Scene da Dagestan, dove un anno fa quando si diffuse la voce di un aereo in arrivo da Israele si scatenò la caccia all’ebreo nell’aeroporto al grido di “Allahu Akbar”. I passeggeri iniziarono a sbarcare, per essere rapidamente costretti a risalire sull’aereo mentre i manifestanti che sventolavano bandiere palestinesi correvano verso di loro. La folla cercò di impedire agli autobus di lasciare l’aeroporto. Poi entrarono anche negli hotel in cerca di israeliani.

“Israele ha mandato gli aerei a portare via le persone, perché altrimenti avrebbero dovuto volare in Grecia e prendere una nave per Israele” racconta al Foglio Cnaan Liptshiz, giornalista ebreo olandese che tre anni fa ha fatto alyah. “Gli israeliani atterriti vagavano per le strade. Ho parlato con sopravvissuti alla Shoah e accusano la polizia di averli abbandonati. ‘Ci ha abbandonati alla folla, come durante la Seconda guerra mondiale’. Io vengo dall’Olanda, dove è rimasto solo il dieci per cento di ebrei. E posso dire che questo è uno di quei momenti spartiacque. Se succede in Dagestan è un conto, diverso se succede in Europa occidentale. Parigi, Londra, Berlino…Abbiamo avuto centinaia di attacchi da un anno. Ho lasciato l’Olanda tre anni fa con la mia famiglia, non vedevo più alcuna vita e possibilità per un ebreo di continuare a vivere in Europa. L’unico modo per sopravvivere come ebreo in Europa è in un ghetto per religiosi o nascondere la propria identità. Il resto, è finita”.

Da un anno gli ebrei in Olanda vivono sotto assedio. L’Università di Utrecht ha cancellato un ciclo di conferenze sull’Olocausto, perché “non può essere garantita la sicurezza dei relatori, degli studenti, degli insegnanti e dei visitatori”. L’università ha capitolato alle minacce. “Abbiamo bisogno di più tempo per collocare gli eventi del 7 ottobre e successivi in una prospettiva più ampia, con spazio per opinioni e convinzioni diverse”. Anche una conferenza nel campo di transito nazista di Westerbork è stata cancellata a causa delle minacce a uno degli oratori, l’attivista Wahhab Hassoo, che avrebbe dovuto parlare del genocidio contro gli yazidi da parte dell’Isis, insieme a Emmy Drop-Menko, la cui famiglia fu uccisa dai nazisti.



Niente kippà per le strade

Nel frattempo, l’unica scuola ebraica ortodossa ha chiuso a causa dei rischi per la sicurezza. La scuola Cheider di Amsterdam ha iniziato a fare lezione online. “Ad Amsterdam difficilmente puoi camminare per strada con una kippah, e non è un caso che le scuole ebraiche, le istituzioni ebraiche e le sinagoghe siano protette”, ha detto Jacques Grishaver, presidente del Comitato olandese su Auschwitz. “Quando vado in sinagoga per il servizio venerdì sera, sono accolto da un esercito”. Il magazine Politico ha rivelato che la comunità ebraica di Groningen non pubblica più gli orari delle preghiere. Un gruppo di volontari manda messaggi via WhatsApp. Il rabbino capo d’Olanda, Binyomin Jacobs , ha rivelato che lui e sua moglie se ne sarebbero andati se non fosse per i loro doveri. “Sono come il capitano in servizio su una nave che affonda”. Intanto, “Hamas, Hamas, gli ebrei nelle camere a gas!” è uno degli slogan più scanditi nelle dimostrazioni contro Israele. Tra poco in Olanda saranno vent’anni dall’uccisione di Theo van Gogh, il regista reo di aver realizzato un film critico dell’islam, “Submission”, e sgozzato per strada ad Amsterdam mentre andava al lavoro. Le sue ultime parole, prima che il terrorista gli piantasse un coltello nel petto, furono: “Genade! Genade! We kunnen er toch over praten?”. Pietà! Pietà! Possiamo parlarne?

Scrive questa settimana sul Telegraff olandese Afshin Ellian, accademico iraniano sotto scorta a Utrecht: “Povero Theo, è impossibile parlare con i terroristi islamici: né a Gaza né ad Amsterdam”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.

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