Proteggere la politica dalle esondazioni delle procure. Così Milano spiega l’Italia

Da mesi, Milano è al centro di un’aggressione giudiziaria. La procura vuole smantellare un modello di efficienza con accuse vaghe. La politica ha scelto di reagire. Appello al governo e al Pd, per una battaglia giusta e trasversale

Primato della politica contro primato delle procure: non sarà arrivato il momento di chiamare le cose con il loro nome? E’ in corso ormai da mesi un’aggressione per via giudiziaria al primato della politica che riguarda una città decisamente importante del nostro paese. Una città che alla politica dovrebbe essere cara e che dovrebbe essere cara sia al mondo del centrosinistra, che quella città la amministra, sia al mondo del centrodestra, che governando l’Italia sa quanto la reputazione del nostro paese sia legata anche al benessere economico di quella città. La città in questione è naturalmente Milano e il fatto è grosso modo questo. Da mesi la procura della Repubblica guidata dal dottor Marcello Viola ha scelto di non ostacolare una serie di ripetute e clamorose iniziative giudiziarie al centro delle quali vi sono accuse, solitamente vaghe, contro alcuni dirigenti del comune, sospettati di aver avallato abusi edilizi che sarebbero stati portati avanti dalle ultime tre giunte che hanno governato la città.

L’ultimo caso è quello che si è manifestato ieri mattina, quando il gip di Milano ha firmato il decreto per il sequestro della cosiddetta area “Scalo House”, in cui è stata realizzata una residenza universitaria e in cui sono corso di realizzazione due nuovi edifici abitativi. Secondo il gip, gli indagati avrebbero realizzato una “lottizzazione abusiva cartolare” per “camuffare l’omissione del piano attuativo e la violazione di tutte le norme, e per conseguire abnormi volumetrie con minimi oneri” attraverso “un’operazione di maquillage giuridico, strutturato in tre fasi di un’istruttoria urbanistico-edilizia durata cinque anni e fortemente alterata proceduralmente e nelle valutazioni sostanziali dell’intervento edilizio”. Apparentemente, il tema potrebbe sembrare poco eccitante, poco interessante, di pura lana caprina. Ma se si ha la pazienza di mettere insieme alcuni puntini si capirà con facilità che al centro delle inchieste su Milano – inchieste dove nessuno è accusato di corruzione e inchieste dove nessuno è accusato di essersi messo un soldo in tasca – c’è in ballo qualcosa di più di un’interpretazione di alcune norme e di un’accusa di abuso edilizio.



C’è in ballo la possibilità che un’amministrazione comunale possa tentare di trovare una via per provare a essere più efficiente cercando soluzioni per ridurre i tempi di esecuzione e sminare le complessità burocratiche. Una prima disputa riguarda il modo in cui l’amministrazione comunale deve comportarsi quando vi è un edificio che supera i venticinque metri di altezza. L’amministrazione comunale, sulla base di una legge regionale del 2005 e ulteriori disposizioni comunali seguenti, ha dato la possibilità di portare avanti gli iter burocratici relativi a queste operazioni passando dagli uffici del comune e dalla commissione edilizia senza dover invece passare dalla giunta. In sostanza: se io ho una ex fabbrica e voglio trasformarla in una torre residenziale e non cambio il volume dell’edificio ho diritto a una procedura accelerata, semplificata, che mi permette di guadagnare un anno di tempo fra controlli e passaggi burocratici. Per la procura, invece, gli edifici che superano gli otto piani, anche quelli che si trovano all’interno di un sistema urbanistico consolidato, possono essere approvati solo dopo l’approvazione di un nuovo piano urbanistico. Il secondo caso riguarda una casistica diversa. Esempio. Ho un edificio industriale e lo voglio trasformare in un fabbricato residenziale.

Per il comune, posso farlo con uno strumento semplificato, ben regolato dalle norme urbanistiche nazionali, perché questa, sempre per il comune, è una ristrutturazione. Per la procura, invece, questa è una nuova costruzione e per questo deve sottostare a un iter più dispendioso. Per anni, la procura di Milano ha scelto di dare per buona l’impostazione del comune. Dal momento in cui alla guida della procura di Milano è arrivato Marcello Viola, rappresentante di Magistratura indipendente, la corrente della magistratura più vicina al centrodestra, la musica è cambiata, per così dire, la procura di Milano si è appellata all’interpretazione di una legge del 1942 e da quel momento in poi le denunce dei comitati di quartiere hanno trovato terreno fertile in una delle procure più importanti d’Italia.

Risultato. Da mesi, come denunciato dallo stesso sindaco, sui dossier relativi all’urbanistica molti dirigenti del comune hanno scelto di non firmare più nulla. Da mesi, dal comune ci sono dirigenti che hanno scelto di cambiare mestiere, di allontanarsi dalla politica. E da mesi, a Milano, città che in questi anni è diventata la culla degli investimenti esteri nel nostro paese grazie a un’attività amministrativa trasversale che ha permesso di attrarre miliardi e miliardi di capitali dall’estero, ci sono circa due miliardi di euro di investimenti bloccati (molti dei quali, per ironia della storia, riguardano una delle emergenze della città, quella abitativa universitaria) e ci sono diversi fondi di investimento (Ardian, Hines, Coima e altri) che anche per questa ragione hanno deciso di dirottare investimenti in altre città come Roma (per non parlare del fatto che nel bilancio di previsione 2025 del comune di Milano mancheranno anche a causa di questa storia circa 130 milioni di oneri di urbanizzazione, un crollo del 70 per cento rispetto all’anno precedente). Lo scontro non è latente, non è sottotraccia, è esplicito, è clamoroso, e ha avuto un suo apice qualche giorno fa quando il sindaco di Milano, dopo l’apertura di un’inchiesta della Corte dei conti a carico di tre funzionari di Palazzo Marino per presunto danno erariale dovuto a una interpretazione delle norme urbanistiche contestata dalla magistratura, ha scelto queste parole per sfogarsi: “Solidarietà e vicinanza ai nostri dipendenti, non solo a parole, ma è chiaro che mettiamo il sistema dell’Avvocatura a loro disposizione per cui faremo tutto il possibile per evitare un danno personale”. Il dato politicamente rilevante di questa storia, una storia dove come è evidente vi è un processo esplicito al modello Milano, a un modello di efficienza che ha portato benessere non solo a una città ma anche al paese, è che a differenza di altre stagioni cupe la politica ha sorprendentemente scelto di non restare a guardare e ha scelto trasversalmente di reagire contro l’attacco della magistratura al primato della politica.

Martedì scorso la maggioranza – che per molti mesi sul tema ha latitato e fischiettato non solo perché nel centrodestra in molti hanno un pregiudizio positivo sul dottor Viola ma anche perché nel centrodestra c’è qualcuno, vedi alla voce Salvini, che ha coltivato per un periodo la tentazione di lasciare la magistratura libera di mettere ogni cosa sottosopra a Milano per indebolire il sindaco Sala e avere la strada spianata alle prossime elezioni comunali – ha trovato un accordo sulla norma così detta “salva Milano” e ha trovato un accordo per approvare una “forma di interpretazione autentica” della legge. Obiettivo: riconoscere la corretta interpretazione delle norme fatte in questi anni dal comune di Milano e incoraggiare il comune a non smantellare un modello di efficienza burocratica che ha permesso di attirare investitori nel nostro paese. Il relatore della norma non è un passante ma è il capogruppo di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, e il dato interessante è che al momento a muoversi in sintonia con la maggioranza di governo, e con il sindaco di Milano, è il Partito democratico guidato da Elly Schlein, talmente disposto a votare insieme alla maggioranza, su questo punto, da aver fatto saltare i nervi al Movimento 5 stelle.

“Diventa disdicevole il sodalizio maggioranza-Pd sullo scriteriato provvedimento Salva-Milano, pronto ad entrare nel vivo del suo iter in Parlamento” hanno scritto ieri i parlamentari M5s Elena Sironi e Agostino Santillo autorizzati da Giuseppe Conte. “Ci rivolgiamo alla segretaria del Pd Elly Schlein” affinché metta subito fine a questa manfrina tra destre e Pd, e faccia ritirare ogni proposta sull’interpretazione autentica: trasparenza e legalità non sono barattabili”. Da un lato, dunque, c’è una magistratura esondante che in nome di un ambientalismo ideologico cerca di smantellare un modello urbanistico che ha permesso di trasformare Milano in quello che è, che ha permesso a Milano di portare avanti un processo di rigenerazione urbana ambizioso, che ha permesso a Milano di creare ricchezza, crescita, benessere e lavoro. Dall’altro lato, c’è invece una politica che trasversalmente sceglie di ribellarsi a quella che reputa essere un’aggressione giudiziaria fondata su tesi vaghe e formalistiche e che cerca di unirsi in nome del primato della politica. Decidere da che parte stare non dovrebbe essere così difficile. Si scrive Milano, si legge Italia.

  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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