Il segretario di stato della Santa Sede spera nella pace sul fronte russo-ucraino per mano del nuovo presidente, ma le distanze sulla Cina restano ampie e pericolose
“Speriamo”, ha detto il cardinale Pietro Parolin all’indomani dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. “Speriamo possa davvero essere un elemento di distensione e di pacificazione negli attuali conflitti che stanno sanguinando il mondo”, soprattutto per quanto riguarda la promessa di far finire la guerra in Ucraina ancora prima di insediarsi. La speranza del segretario di stato della Santa Sede rivela qual è il tema principale sul quale potrà stabilirsi una sintonia fra la Chiesa e la nuova Amministrazione repubblicana. Che la guerra russo-ucraina debba finire, e presto, è da sempre la priorità vaticana. Ribadita più volte al punto da irritare le autorità di Kyiv, tanto che il Papa è sovente stato indicato come “filorusso” dopo le sue improvvide parole sulla “bandiera bianca” da sventolare e sulla Nato abbaiante ai confini della Russia. Ma se sul fronte orientale europeo la distanza rispetto alle politiche di Biden potrà attenuarsi, sulla Cina le cose saranno più complicate. Non a caso Parolin ha detto che “si andrà avanti” a dialogare con Pechino, quasi a esorcizzare le opposizioni prevedibili nella futura Amministrazione americana: basti solo ricordare che le maggiori critiche all’Accordo sulla nomina dei vescovi nel paese asiatico furono quelle dell’allora segretario di stato Mike Pompeo, con un articolo pubblicato sulla rivista conservatrice cattolica First Things. Era l’opposizione palese di Washington ai negoziati e all’intesa con il regime di Xi Jinping. Un tentativo (non andato a segno) di mettere pressione sulla Santa Sede affinché non desse seguito ai negoziati. Ma allora la diplomazia d’oltretevere pareva essere più forte, non ammaccata dagli scarsi successi sul fronte europeo e più capace di incidere sullo scenario geopolitico. Chissà che l’imprevedibilità di Trump non possa invece scombinare piani e previsioni.