Meloni professa ottimismo: “Con Trump troverò una sintesi”. La fuga ucraina di Salvini, i timori del Colle

Preoccupazioni di Palazzo Chigi per i possibili dazi. Il vicepremier leghista inizia a battere su Kiyv: “Stop armi”. Mantovano: “Non si cambia”. Come si modifica la rete diplomatica. La premier attesa al giuramento del presidente il 20 gennaio

Il primo cortocircuito è sull’Ucraina. Matteo Salvini, più mattiniero di tutti nel governo, saluta alle otto di mattina la svolta alla Casa Bianca intestandosi la tessera numero uno del club trumpiano in Italia e ribadendo che ora “non è più necessario fornire armi a Kyiv”. Il capo della Lega e vicepremier rilascerà sull’argomento dodici dichiarazioni durante la giornata. Sono segnali che rimbalzano su Palazzo Chigi: il cambio di scenario, denso di incognite, c’è stato. Adesso bisogna adeguarsi, magari senza snaturarsi in politica estera. A partire dall’Ucraina. La premier alle nove, su X, postando il faccione di Trump sceglie toni istituzionali per le congratulazioni. Parla di Italia e Stati Uniti come nazioni “sorelle”. Il 20 gennaio la danno a Washington per il giuramento del neopresidente. Ma intanto che fare?

Intanto da presidente di turno del G7 deve gestire senza strappi la transizione americana vista da Roma. A giugno sarà nominato il successore dell’ambasciatrice negli Stati Uniti Mariangela Zappia e contestualmente si attende, in Via Veneto, l’uomo, o la donna, che prenderà il posto di Jack Markell. Da ieri mattina c’è una tela diplomatica da disfare e rifare, per quanto con Trump varranno più che altro i rapporti politici dei leader. In questo contesto comunque è pronto a lasciare a Palazzo Chigi il viceconsigliere diplomatico della premier, Alessandro Cattaneo, per ricoprire la sede di Ottawa, Canada. C’è un mondo nuovo all’orizzonte e un discreto buio all’orizzonte. Nel governo davanti all’ipotesi di dazi trumpiani continuano a sottolineare una cifra: 40 miliardi di saldo positivo con gli Usa, su un totale di 67 miliardi, con l’America che resta per Roma il secondo mercato di sbocco dopo la Germania. Che fare? Se è vero che la soluzione Kamala Harris per narrazione personale e soprattutto equilibrio geopolitico sarebbe stata preferibile, l’Ucraina resta un rovello. La linea che Giovanbattista Fazzolari impartisce ai parlamentari di FdI non comprende l’invasione russa: di quella non si parla. Meglio l’elogio del tycoon, la sconfitta della sinistra dei salotti, il popolo che guarda a destra contro le solite élite mediatiche e culturali. Fazzolari dice che sull’Ucraina “cambierà poco”. L’altro sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, fa con i suoi collaboratori il seguente ragionamento: “Non dobbiamo adeguare le nostre performance, come Italia e come Europa, a quello che decide di fare l’America”. E quindi se un elemento identitario di questo governo è stato il sostegno al presidente Zelensky “sarebbe sbagliato” cambiare linea alla luce di un nuovo inquilino della Casa Bianca. Mantovano parla dell’intensità del rapporto fra nazioni che resta immutato al di là dell’orientamento del leader che governa in quel momento: “Il caso del Regno Unito, da Sunak ai laburisti è lampante”. Ma anche lui se la prende con “l’incredibile reiterazione di media e commentatori nella sovrapposizione dei propri desideri o auspici al voto degli elettori americani. Capita spesso”, ragiona con il Foglio.

Dietro alla sbornia di parole che piovono dai parlamentari di Lega e Fratelli d’Italia c’è la cautela problematica nel quadrilatero Palazzo Chigi-Farnesina-ministero della Difesa-Quirinale davanti a questo nuovo scenario. Il messaggio del capo dello stato Sergio Mattarella è denso di gravitas sembra celare, letto controluce, una serie di logiche preoccupazioni. Soprattutto quando parla di “condivisione dei valori democratici e dalla comune adesione a un ordine internazionale fondato sulle regole”. Legami “che includono l’imprescindibile dimensione euro-atlantica” di vitale importanza “ancor più nell’attuale contesto internazionale segnato da conflitti e focolai di instabilità”. Sono auguri di buon lavoro, quelli del Quirinale a Trump, che si portano dietro un’agenda ricca di auspici. Antonio Tajani professa “ottimismo” sui dazi e dice che la democrazia non è in pericolo, anche se il suo partito Forza Italia è stato quello più tiepido, con diverse gradazioni, nei confronti della candidatura del leader repubblicano (con Marina Berlusconi più incline a scegliere Kamala Harris). “Da questo voto l’Italia esce rafforzata in Europa”, rimarcano a Palazzo Chigi. La leader non può non palesare ottimismo: “Si cercherà una sintesi su tutto – è il suo ragionamento – e il fatto di avere di fronte un interlocutore della tua famiglia politica, con una matrice di battaglie e valori comuni sicuramente è un valore aggiunto non da poco”. Andrea Di Giuseppe, il deputato di FdI che l’altra notte dal comitato elettorale trumpiano si scambiava messaggi con Palazzo Chigi, è sicuro che “Giorgia riuscirà a essere il ponte fra Donald e l’Europa”. E Salvini? “Fa Salvini”. E la premier oggi è attesa da Viktor Orbán

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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